Il Jobs act ha aperto la scena per un dibattito tra le parti sociali. Posizioni distanti, alcune caute, altre molto meno. Abbiamo tentato di costruire un quadro delle posizioni rispetto alla riforma del lavoro del governo Renzi, sia per parte datoriale che per quella sindacale. Per il momento solo Unindustria (Unione degli Industriali delle Imprese di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo) non ha ritenuto opportuno rilasciare dichiarazioni in materia di lavoro, ritenendolo prematuro e considerando che neppure Confindustria a livello nazionale si è espressa sull’argomento rinviando i commenti a febbraio. Così si sono espressi alcuni rappresentanti di altre organizzazioni.
Confartigianato
TANTE PERPLESSITà. COME ASSUMIAMO I GIOVANI?
«Riguardo al Jobs Act, riteniamo sia ancora prematuro dare un giudizio. Bisogna attendere i decreti attuativi e studiarli. Riguardo agli aspetti legati alle dinamiche contrattuali/assunzioni, da una primissima analisi ritengo che l’occupazione nelle microimprese e nelle piccole attività non sia agevolata. Di fatto si cerca di “spingere” alla stipula di contratti a tempo indeterminato con seri problemi nel momento in cui una microimpresa decida di sciogliere tali contratti. Cosa diversa per i grandi gruppi imprenditoriali». Il problema per quanto attiene alle province di Roma e Latina, realtà economiche formate soprattutto da piccole e piccolissime aziende, non sembra di poco conto. «Oggi – continua Simeone – molti ragazzi riescono a inserirsi nel mondo produttivo grazie a forme contrattuali “atipiche”, che oggi di fatto vengono a sparire. È stata messa in discussione tutta la “riforma Biagi” che, ritengo, aveva dato una risposta positiva sia alle piccole imprese che ai giovani. Ora vedremo: si stanno analizzando gli interventi sull’ IRAP e sul nuovo ‘Regime dei minimi’. Ci riserviamo un giudizio dopo un serio approfondimento nei prossimi giorni. Le perplessità ci sono tutte, ma bisogna essere pragmatici e, prima di dare un qualsiasi giudizio, approfondire e comprendere».
Federlazio
LE AZIENDE NON POSSONO PIù GARANTIRE IL LAVORO COSTANTE
«Sicuramente i piccoli e medi imprenditori che noi rappresentiamo considerano il Jobs act un passaggio importante, perché vengono rotti tabù che sono culturali. Non è certo una legge sconvolgente. Le PMI lamentano un impianto del diritto del lavoro troppo rigido, con forti rigidità in entrata e in uscita. Passi coraggiosi sono stati fatti: in qualche modo è stato toccato quello che viene considerato dai sindacati una roccaforte, l’articolo 18. Ma il fatto che la nuova disciplina non sia retroattiva limita fortemente la necessità di flessibilità che oggi gli imprenditori hanno. Si poteva fare di più, ma è apprezzabile che sia stato fatto un primo passo importante».
Cosa serve ai piccoli e medi imprenditori?
«Hanno bisogno di un mercato del lavoro nel quale si possa gestire il rapporto di lavoro con quella velocità che rispecchi sempre di più il contesto economico che va veloce e di un mercato che è molto volubile. Oggi non è più possibile che un imprenditore possa garantire mantenimento costante della forza lavoro, perché l’economia non ne dà la possibilità: se un imprenditore segue l’andamento schizofrenico del mercato, il mercato del lavoro questa realtà la deve interpretare e agevolare nel gestire questo momento, per evitare che ogni volta l’imprenditore abbia costi e difficoltà nel gestire l’andamento imprevedibile e volubile del mercato».
CISL
BENE PER PRECARI E DISOCCUPATI, MALE PER I CONTRATTI COLLETTIVI
«Apprezziamo l’elemento di individuare il contratto a tempo indeterminato come privilegiato e sfoltire la selva degli altri contratti che hanno creato il precariato e in questo senso dobbiamo riconoscere che si va nella direzione da noi indicata. Riteniamo positiva anche l’estensione dell’Aspi (ex disoccupazione speciale), ma anche questo strumento va migliorato.
Nel Jobs act – aggiunge però Tramannoni – mancano alcune cose: la più eclatante, mai entrata nella discussione, è la questione dell’articolo 10 per i licenziamenti collettivi, cioè per le procedure le aziende non devono più rispettare criteri di scelta, (anzianità di servizio, carichi familiari ed esigenze tecnico amministrative), vanificando in questo modo i negoziati e le trattative sindacali. La nuova disciplina, inoltre, vale per i nuovi assunti. Si creeranno così grandi differenziazioni con diverse disposizioni dei diritti».
CGIL
UNA LEGGE CHE NON RISOLVE. SONO ALTRI GLI INTERVENTI PER FAR RIPARTIRE L’OCCUPAZIONE
«A proposito di Jobs act, la prima domanda che occorre porsi è: può una riforma delle regole del mercato del lavoro rilanciare l’occupazione? Indubbiamente dal punto di vista delle aziende si è prodotto uno straordinario cambiamento ad esse favorevole: assumere è diventato più facile e meno costoso, per la gestione di alcune fasi critiche di crisi economica e/o aziendale, ci sono strumenti di estrema flessibilità, come contratti a tempo determinato, demansionamenti e facilità di licenziamento. Il lavoro ottiene come contropartita la illusoria promessa di una ripresa dell’occupazione».
Con 25 milioni di disoccupati questa è la crisi più grave del secolo. Dal suo inizio l’Italia registra -15% del prodotto interno lordo e -25% nella produzione industriale; perde 1 milione di posti di lavoro (200.000 nei settori chimico-farmaceutico, tessile, manifatturiero, addirittura nell’energia elettrica), la disoccupazione giovanile sfiora il 46%; un milione di lavoratori in cassa integrazione, più della metà a zero ore. Il governo dichiara che ne stiamo uscendo. «In realtà – spiega Mazzariello – tale aspettativa è pesantemente condizionata da altri fattori economici e produttivi, su cui oggi, non si intravede alcuna volontà di intervento: la caduta della domanda interna (il mercato domestico è in piena stagnazione), il pressoché totale fermo degli investimenti pubblici e privati, l’eccesso di nanismo aziendale delle imprese italiane, la scarsa diffusione di innovazione di processo e di prodotto». Quali gli scenari? «A situazione economica e produttiva costante, e quindi in assenza di una ripresa della crescita derivata dalla domanda, assisteremo al massimo a un progressivo aggiustamento dei conti aziendali, giocato in gran parte sul meccanismo di cambio del mix anziani/giovani, della forza lavoro – conclude Gabriele Mazzariello -. Ciò però, produrrà alcuni effetti assai negativi: come una riduzione del valore complessivo delle retribuzioni, e quindi meno soldi da spendere per la ripresa della domanda interna, un aggravamento del debito pubblico, determinato dalla crescita del costo per ammortizzatori sociali e dagli effetti della pressione sul sistema pensionistico, sistema non sostenuto dalla nuova occupazione, per effetto della decontribuzione sulle nuove assunzioni».
La proposta dell Cgil: un piano straordinario di occupazione giovanile e per il buon lavoro, piano che necessita di una patrimoniale sulle grandi ricchezze, lotta agli sprechi (con una “spending review” seria e selettiva), alla povertà e alla disuguaglianza, all’evasione ed alla corruzione, per ridurre le tasse sul lavoro e sulle pensioni.
CGIL
DANNEGGIA I NUOVI LAVORATORI E NON RISOLLEVA L’ECONOMIA
«Pericoloso, deleterio e anticostituzionale. Questo è il Jobs act. È un provvedimento che debilita il mondo del lavoro già provato dalle criticità affrontate negli ultimi anni. La pericolosità più importante la ravvediamo nell’estensione della riforma dell’articolo 18 ai licenziamenti collettivi contenuta in uno dei due decreti attuativi del Jobs Act approvati dall’esecutivo alla vigilia di Natale. Questa è senza dubbio difficile da attuare, potenzialmente incostituzionale e discriminatoria». Il fatto che il Jobs act si applichi ai lavoratori “assunti a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto” crea secondo Briganti una «disparità di trattamento che si ritrova sia nei licenziamenti collettivi sia in quelli individuali, ma con una sostanziale differenza: se il provvedimento è collettivo, i dipendenti di lunga data avrebbero diritto al reintegro, gli altri solo all’indennizzo». E infine la proposta: «Le scelte che il Governo deve fare a mio avviso sono eventualmente da indirizzare verso una patrimoniale sulle grandi ricchezze, in modo tale da redistribuirle più equamente e dare così una spinta in avanti all’economia e di conseguenza all’occupazione. È necessaria una politica di rilancio degli investimenti pubblici e privati come è stato fatto in altri paesi».