TRAMA
Due personaggi, una madre e sua figlia, si rivedono dopo lunghi anni di abbandono per affrontarsi in un ultimo dialogo catartico. Si scrutano, si riconoscono, si respingono, sospesi in uno spazio onirico e irreale.
La madre, scolpita in un’età indefinibile, bianca come marmo, accartocciata su uno sgabello simile a un rapace pronto all’attacco, è deturpata dai segni evidenti di una vita consacrata alla fede nazista. La figlia, abbandonata da quella stessa madre fin dalla prima infanzia, è ora decisa ad andare fino in fondo per toccare con mano l’orrore e riscattare infine il suo dolore. Spera, in fondo, in un pentimento da parte del rapace/carnefice che possa far nascere una riconciliazione.
Come in un ring, i due animali si affrontano in un emozionante e feroce scontro tra vittima e carnefice. Grottesca e patetica la madre, in preda ad improvvisi attacchi di pianto, chiede, pretende, implora addirittura di essere chiamata, forse per la prima volta, mamma; passionale e carnale la figlia, oscillante tra lucida consapevolezza e smarrimento emotivo, stordita dal dubbio, rifiuta, incapace di pronunciare quella parola mai detta finora. I ricordi, evocati dal suono ipnotico di una ninna nanna, riaffiorano da una vecchia valigia dove rimane custodita una bambola, unica testimone del reale.