Simona Torosani è morta per colpa dei medici. Sono stati fatti errori durante il parto cesareo, con cui la 37enne ha dato alla luce il suo secondo figlio, le è stata causata un’emorragia e i camici bianchi non se ne sono accorti. Poi, nel post operatorio, sono stati accumulati altri sbagli, ritardando eccessivamente la seconda operazione. Queste le conclusioni a cui sono giunti i due periti nominati dal gip del Tribunale di Latina, Mara Mattioli, incaricati di far luce sul decesso della giovane, originaria di Aprilia, ma residente a Nettuno, che perse la vita il 27 dicembre 2013, nella clinica “Città di Aprilia”.
La perizia è stata compiuta nel corso di un incidente probatorio, chiesto e ottenuto dal sostituto procuratore Daria Monsurrò, che per la morte della 37enne ha indagato 12 camici bianchi, con l’accusa di omicidio colposo, dopo che i suoi consulenti e quelli della difesa erano arrivati a conclusioni opposte. La tragedia della giovane mamma portò lo stesso ministro della salute, Beatrice Lorenzin, a inviare gli ispettori e i carabinieri del Nas raccolsero numerosi documenti e testimonianze. Nel corso del parto non sembravano essere emersi problemi particolari. Il primario, Giovanni Testa, di Roma, cercò di difendere la struttura, scrivendo sui social network: “Dopo attenta valutazione della esatta dinamica degli eventi è da escludere alcuna responsabilità in capo alla struttura sanitaria. Attualmente gli atti sono a disposizione della autorità giudiziaria a cui ci rimettiamo per una attenta valutazione di eventuali responsabilità”. Tra i 12 indagati per omicidio colposo è poi finito lo stesso Testa, insieme ai romani Eraldo Pagano, Saverio Muscoli, Federico Marchetti e Claudio Luciani, a Ulisse Ludovisi, di Nettuno, Anna D’Amato, di Anzio, Marco Giovagnoni, di Marino, Giuseppe Longo, di Ariccia, Michela Tamburro, di Tivoli, Nadia Toscano, di Latina, e Tiziano Mantovani, di Aprilia.
I periti nominati dal gip Mattioli, il prof Costantino Ciallella, dell’università La Sapienza di Roma, e il chirurgo Achille Morici, hanno risposto in tribunale alle domande del pm, del legale che rappresenta la famiglia della vittima, l’avvocato Filippo Iacoacci, e delle difese, rappresentate dagli avvocati Paolo Melchionna, Angelo e Oreste Palmieri, Fabrizio Marchetti, Daniela Fiore, Isidoro Sperti, Pietro Donisio e Fabrizio Federici, specificando che per loro, pur facendo una serie di distinguo tra i medici coinvolti, la morte della donna è stata causata da errori compiuti dai camici bianchi.
Per i periti la “causa della morte va identificata in una anemia acuta post emorragica da sanguinamento massivo post intervento di taglio cesareo, determinato dalla rottura dell’arteria uterina di destra, in soggetto operato di miomecromia (l’asportazione di un fibroma ndr) in corso di taglio cesareo e sottoposto, nel post operatorio, ad ulteriore intervento di isterectomia subtotale (asportazione di parte dell’utero ndr) e annessectomia (asportazione delle ovaie ndr). Si trattava di soggetto obeso, ma sostanzialmente esente da altre patologie congenite o acquisite che possano aver contribuito nel determinare il decesso”. E ancora: “Nel corso del taglio cesareo e del contestuale intervento di miomectomia si individuano comportamenti del personale sanitario censurabili sul piano della correttezza e della tempestività. In assenza di assenza di tali comportamenti il decesso non si sarebbe verificato”. Secondo il prof. Ciallella e il dott. Morici, l’emorragia è stata causata da “una lesione dell’arteria uterina durante l’estrazione della testa fetale, non rilevata”, e tra i primi dolori avvertiti dalla vittima e il secondo intervento sarebbe stato fatto trascorrere troppo tempo. Gli atti ora sono tornati in Procura e per gli indagati si profila la richiesta di rinvio a giudizio.