“NON SOTTOVALUTATE I SEGNALI DI ALLARME”
Il suidicio fa notizia. Un gesto così eclatante e tragico attira inevitabilmente l’attenzione di media, giornali, tv. Eppure dietro alla sconvolgente decisione di togliersi la vita c’è un mondo dietro che non viene raccontato, un mondo fatto di dolore, disagio, difficoltà che spesso si riassume frettolosamente nella scarna motivazione che spinge la persona a suicidarsi. La dottoressa Giada Lauretti, medico chirurgo specialista di neuropsichiatria infantile e psicoterapeuta dell’età evolutiva e dell’adulto, attiva tra Roma e Aprilia, spiega che “il fenomeno di emulazione incide sicuramente sull’aumento dei casi di suicidio. Questi gesti, se enfatizzati, possono scatenare anche un effetto domino”. I fattori di rischio, spiega la dott.ssa Lauretti, possono essere tanti, non è perciò corretto indicare la crisi economica come unico motivo scatenante. Proprio a causa della complessità dei dati sulle morti per suicidio l’Istat ha fermato l’ultima indagine al 2010, perché troppo difficile catalogare le cause del gesto. “Di solito chi compie questa scelta è un soggetto fragile, che ha già molti dei traumi non elaborati alle spalle, le cause scatenanti come la crisi, la perdita del lavoro, la perdita di un amore, una violenza, il bullismo, sono fattori che danno una spinta in più alla volontà del suicida – spiega la dottoressa. Inoltre questi soggetti spesso non hanno fiducia nell’altro, hanno difficoltà a chiedere aiuto”. Eppure, come spiega la Lauretti, i segnali per individuare un possibile rischio sono molti, non sono sempre facili da comprendere, ma i familiari possono cogliere il malessere nascosto dietro certe frasi e comportamenti, non ignorare i campanelli di allarme. “Anche se a volte è considerato un argomento tabù, il familiare che sente dire frasi come “tra poco non dovrai più preoccuparti per me”, oppure “vorrei essere morto” deve stare attento. Un fattore protettivo è sicuramente l’ascolto: i familiari possono ascoltare, ma anche notare i cambiamenti nello stile di vita, la perdita di entusiasmo, la mancanza di obiettivi, l’isolamento, l’autolesionismo, i riferimenti alla morte. È importante in questi casi prevenire allontanando oggetti pericolosi e controllare a vista il soggetto”. Da non sottovalutare poi il trauma scatenato dalla perdita di un familiare per suicidio: l’American Psychiatric Association lo ha addirittura paragonato al trauma vissuto nel campo di concentramento. “La mancanza di una rete sociale o familiare è un fattore di rischio: i soggetti più predisposti al suicidio sono quelli che non sanno come affrontare i momenti di stress della vita, subiscono i fattori scatenanti e non hanno i mezzi per superarli”, spiega la dottoressa. Nel centro clinico di Roma FEELSAFE dove lavoro entriamo in contatto con i bambini, gli adolescenti e le loro famiglie per effettuare un lavoro di prevenzione, per aiutare i genitori a costruire una relazione sicura con i figli e li aiutiamo ad elaborare a risolvere i traumi”. Al Policlinico Sant’Andrea di Roma c’è a disposizione un servizio di prevenzione del suicidio che offre un primo sostegno ai soggetti a rischio (info: 0633775675). (foto Luciano Sciurba)
Laura Alteri