Ennesima odissea sulla tratta ferroviaria Roma-Nettuno. Ieri sera, il treno partito da Roma alle ore 17.42, arrivato intorno alle 18.35 alla stazione Lido di Lavinio, ha costretto circa un centinaio di pendolari a scendere alla fermata successiva, Villa Claudia, e percorrere a piedi il relativo tratto (circa 3 km) per tornare appunto a Lido di Lavinio. I fatti: il treno è, come sempre, stracolmo di gente, molti di coloro che scendono alla stazione di Lido di Lavinio sono in prima carrozza per uscire più rapidamente dalla stazione; come da annuncio da altoparlante del treno, una delle porte della prima carrozza è guasta e quindi “si avvisa di avvicinarsi per tempo alle altre porte di uscita”. Come detto la mole di gente è molta e, seppur divisa tra le varie porte funzionanti, non riesce a defluire nei tempi canonici; fatto sta che, senza visionare la reale situazione, il capotreno (in coda al treno, nonostante il nome) procede alla chiusura delle porte (senza possibilità di riapertura) per così ripartire. Potete immaginare il clamore e le urla delle centinaia di persone rimaste “chiuse dentro” e “deportate” alla stazione successiva. Ovviamente a Villa Claudia, una volta scesi, i pendolari infuriati protestano vivacemente contro il macchinista che si dichiara impotente visto che il comando spetta al capotreno; nel frattempo si fanno sentire anche i clacson sonanti delle macchine ferme al passaggio a livello, a loro volta vittime di una attesa paradossale. Ne nasce uno scontro verbale molto acceso, il capotreno si difende dicendo di aver rispettato il minuto di apertura porte, come da regolamento, le proteste dei pendolari invece sono facilmente intuibili. Solo grazie al loro buonsenso, senza neppure le scuse di alcuno, il treno può ripartire. Come ci dice una dei pendolari coinvolti ” decine e decine di persone, tra cui anziani, donne e bambini, siamo stati costretti a percorrere il tratto di ritorno verso Lido di Lavinio, ovviamente a piedi, nel buio ormai noto del tratto, senza marciapiedi e pericoloso, sia se percorso dalla Nettunense che nella parte interna; tutto questo solo per non aver guardato il deflusso della gente. Una situazione vergognosa”. Il popolo dei pendolari “deportati” si mette tristemente in marcia a piedi verso casa, dopo una lunga giornata di lavoro o di studio, coronata dal solito viaggio di passione, inefficienza ed inadeguatezza umana e professionale che trasforma un tratto di poco più di 50 km in un’odissea quotidiana. È stato fatto un esposto alle Ferrovie e coinvolto il Comitato pendolari, ma chi potrà mai risarcire questo popolo di pendolari, umiliati, arrabbiati, dimessi che ogni giorno vivono storie di ordinaria follia? Stefano Masio
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