Rezza abita la scena-scultura di Flavia Mastrella e stupisce con anomale vicende che sono un condensato di realtà, filosofia e verità incontrastabili. E si ride senza capire. L’habitat Fratto-X è un impeto da suggestioni fotografiche. Le immagini raccontano la strada che corre e l’impossibilità di agire: scie luminose si materializzano con la delicatezza dei fiori visti da vicino.
Fratto-X è come un ideogramma, insegue la freschezza vibrante del tratto e il colore saturo dell’immagine in 3D. Tra acutezza logica e una ragione stringente fatta di criteri matematici che arriva a sfiorare la follia pura. Una follia fatta di battute fulminanti, forme buffe sul palcoscenico e sdoppiamenti dall’effetto esilarante. Con becere intonazioni e gracchianti frasi di apparente banalità Rezza costruisce dal nulla sul suo corpo magro e vibrante un universo di gioco e tragedia, a cui la sua voce imprime un senso singolare, che induce al riso ma anche alla riflessione nello scoprirvi motivi di critica e, forse, di malcelata tristezza, di disperazione nel segnalare un mondo popolato da incombenti idiozie.
Il nonsenso e la furbizia di Petrolini e l’ammiccamento complice di Totò si fondono con una artaudiana volontà distruttiva, stemperato sempre in un romanesco che non può che essere maldestramente bonario e un po’ stralunato. Capolavoro di vero teatro è il dialogo, articolatissimo e scandito da tempi da brivido, con Ivan Bellavista, l’attore che lo segue come un’ombra: è sempre Rezza a sviluppare questo dialogo in cui dà voce anche all’altro – una sorta di moglie, che sembra parlare con la sua voce; e l’alterco fra i due, il sospetto dell’altro-altra di essere preso in giro è davvero un pezzo di straordinaria bravura. Anche perché, oltre alla perizia sublime nel montare una scena del genere, vi si cela più che un sospetto, che quel rubare all’altro la parola non sia poi metafora di quanto accade spesso in una realtà imprigionata dai condizionamenti qual è quella attuale.
Con Rezza e Mastrella tutto è possibile. Ma bisogna entrare nel loro gioco, nel loro mondo, nel loro linguaggio. Ed è questo che è profondamente geniale: il pubblico viene sollecitato continuamente alla reazione. Come nelle serate futuriste di inizio ‘900, gli spettatori non possono distrarsi un momento. Devono subire. Il meccanismo di questi spettacoli, pregni di significati, simboli, allusioni, immagini, movimento e parola, porta lo spettatore a ridere apertamente e inconsapevolmente della sua condizione. Il tema fondamentale dello spettacolo sembra essere l’identità: deformata, corrotta, modificata, ribaltata. Nessuno di noi oggi è consapevole della sua vera identità. La spensieratezza originaria, elemento reale della nostra identità, viene intaccata subito. L’uomo è al centro della grande X sul palcoscenico, crocevia delle diverse strade della sua vita. Ma anche punto di incastro, strozzatura. E l’ansia, presenza incombente dell’uomo contemporaneo, viene ridicolizzata, nasce e cresce con lui, ma non come malattia psicologica, bensì come alter ego imposto dall’esterno per costringere la nostra identità a sdoppiarsi, a perdersi. Clou dello spettacolo sembra essere proprio il momento in cui Rezza interpreta, attraverso la sola voce, ben tre personaggi in uno, coadiuvato dall’ottimo Ivan Bellavista, presenza fondamentale sul palcoscenico. Lo spettatore si ritrova ad osservare e ascoltare tre personaggi distinti, cadendo anch’egli nella trappola di un’identità fasulla e imposta.
Uno spettacolo dalla difficilissima interpretazione corporea e vocale, per non parlare della grande abilità fisica e diaframmatica di Antonio Rezza. L’intento non è solo la riflessione ma la constatazione della “destrutturazione”, per utilizzare un’espressione presente continuamente nel testo.
Mercoledì 30 marzo – ore 21. Biglietti in prevendita al Teatro Europa (tel. 06.97650344). Info 347.8561181