Cosa puoi raccontarci di questa tua esperienza internazionale? “La prima cosa che posso dire, per quanto risulti scontata, è che è stata un’esperienza bellissima. Sono tornato a casa con un bagaglio ricchissimo di esperienza personale e professionale. Ho conosciuto questo sport solo 3 anni fa, intuendo il suo potenziale mentre insegnavo ai bambini, e mai avrei pensato che sul mio cammino avrei trovato una maglia azzurra. Mi sembra strano siano passati già 3 mesi dalle convocazioni e siamo qui a parlare al passato di questi Europei. Sono stati mesi intensi caratterizzati da sacrifici, rinunce e trasferte a Firenze e Ravenna per raggiungere gli altri atleti agli allenamenti. Ho focalizzato le mie energie su questo obiettivo importante e non ho rimpianti, anzi sono molto soddisfatto. È stato un grande onore indossare la maglia della nazionale italiana. Io ho già alle spalle una carriera da agonista nello sport, anche se nelle arti marziali, e questo mi ha permesso di gestire meglio e certamente con maturità le emozioni”.
Questa esperienza cosa ti ha lasciato dal punto di vista professionale? “Ho avuto modo di vedere questo gioco e confrontarmi sul campo con un livello altissimo. Tutti i paesi anglosassoni (Inghilterra, Galles, Scozia, Irlanda del Nord) e ora anche l’Austria, sono navigati in questo sport. Le semifinali e le finali sono state giocate alla meglio di 7 game, perciò su partite così lunghe, l’esperienza è un fattore decisivo e la superiorità di questi atleti è emersa proprio sul campo. Sicuramente c’era un altissimo potenziale di capacità personali rispetto ai fondamentali del gioco: agilità nelle schivate, sicurezza nei blocchi, potenza e precisione nei tiri”.
Cosa pensi del risultato che vi ha visti piazzati all’8° posto nel maschile? “La nazionale di quest’anno, soprattutto a livello maschile, è stata ampiamente rimaneggiata e la ristrutturazione ha determinato l’ingresso di molti esordienti, tra cui me, e una parte di veterani che avevano già partecipato ad altri Europei. Ogni giocatore è stato scelto per un insieme di caratteristiche e potenzialità che tuttavia erano da mettere a frutto in un gruppo e in un contesto nuovo, ben diverso dai campionati nazionali. Il nostro punto di forza è stato certamente il gruppo, le partite sono state lunghe e alcune tiratissime. Quando si va sotto pressione e si perde la concentrazione, si innescano nei giocatori degli automatismi che riguardano il loro modo di giocare nei rispettivi club proprio perché non c’è stato modo di crearne di nuovi nella nuova squadra nazionale. Per fare un esempio, diverse eliminazioni sono state dovute al pestaggio delle righe del campo e questo perché abbiamo giocato in campi più piccoli di quelli italiani a cui eravamo abituati (8×16 m piuttosto che 9×18 m). Quando ci si sente attaccati con due o tre palloni, il nostro cervello ci dice che abbiamo ancora spazio per arretrare, è automatico, invece non era così. L’8° posto ci sta stretto perché spesso abbiamo perso più per errori nostri che non per bravura degli altri, nonostante il nostro potenziale, e questo lascia un po’ d’amarezza, un rimpianto dal quale possiamo comunque imparare.”