Fingere di avere dolori per accedere a esami specialistici o piccole operazioni programmate. Accade anche questo all’ospedale Santa Maria Goretti dove alcuni pazienti sostengono di essere stati invitati a fingere un dolore acuto al pronto soccorso per poter essere sottoposti a esami già concordati con medici curanti dei reparti. Non si sarebbe di fronte a dei veri e propri favoritismi ma ad escamotage utilizzati da medici impossibilitati altrimenti a curare in modo minuzioso i propri pazienti per i quali non risulta necessario il ricovero.
Una sorta di moderno segreto di pulcinella che mira ad aggirare le restrizioni della direzione ma che crea altri problemi, non ultimo quello dell’ulteriore sovraffollamento di un pronto soccorso già perennemente sovraccarico. Due le testimonianze che ci sono pervenute da altrettanti pazienti di cui manterremo l’anonimato.
La prima è di una giovane mamma che si è trovata a concordare un parto cesareo non urgente ma consigliato dallo stesso medico. Arrivata in reparto nel giorno prefissato, la ragazza è stata invitata a scendere al pronto soccorso e a chiedere di essere visitata per un dolore al grembo. Un processo durato poco meno di mezz’ora con la paziente che, una volta eseguite le operazioni al triage, è stata rispedita in reparto dove poi ha partorito. Il perché di tale macchinoso iter sarebbe da ricercare nella soppressione della seduta operatoria nel reparto di ostetricia.
“Si possono prenotare dei parti cesarei – ci spiega un’infermiera – ma solo in caso di gravidanza a rischio oppure di bambino podalico o nel caso di gestante che ha già subìto parti cesarei. In quel caso la paziente viene pre-ospedalizzata, ovvero sottoposta ad analisi e prenotata per un cesareo”.
Nel caso in cui non ci si trovi di fronte a tali condizioni l’accesso al parto cesareo, se non in casi estremi (rischio di perdita di vita per feto o madre) è però negato.
“In alcuni casi tuttavia potrebbe essere consigliato – spiega ancora un’altra addetta del reparto – e a quel punto accade che si chieda al paziente di passare al pronto soccorso e il caso viene così trattato come urgenza. Il cortocircuito non si verificherebbe solo in quel reparto ma anche in caso di visite specialistiche come gastroscopie o esami radiologici.
A testimoniarlo è un uomo che dopo una visita allo stomaco programmata, è stato sottoposto ad un piccolo intervento chirurgico. “Mi hanno chiesto di scendere al pronto soccorso, lamentare un dolore e dire che ero già in cura presso un medico dell’ospedale”. Anche in questo caso, eseguito l’accesso, l’uomo sarebbe stato sottoposto a esame e intervento. A rimetterci, in questo sistema, sembrano essere tutti: i pazienti sono costretti a vagare per più reparti (chi non ha questa fortuna e non vuole o non può usufruire delle aziende private vede allungarsi i tempi d’attesa già al limite di quanto permesso dalla legge); gli operatori del pronto soccorso vengono ancor più oberati di lavoro (quando recenti ispezioni da parte dei carabinieri del Nas hanno evidenziato gravi carenze strutturali del reparto) e gli stessi medici dei reparti si vedono costretti a creare escamotage per aggirare le strette maglie in cui sono costretti ad operare, in un regime sempre più orientato all’utilizzo di macchinari e professionalità solo in casi estremamente gravi.
Una sorta di moderno segreto di pulcinella che mira ad aggirare le restrizioni della direzione ma che crea altri problemi, non ultimo quello dell’ulteriore sovraffollamento di un pronto soccorso già perennemente sovraccarico. Due le testimonianze che ci sono pervenute da altrettanti pazienti di cui manterremo l’anonimato.
La prima è di una giovane mamma che si è trovata a concordare un parto cesareo non urgente ma consigliato dallo stesso medico. Arrivata in reparto nel giorno prefissato, la ragazza è stata invitata a scendere al pronto soccorso e a chiedere di essere visitata per un dolore al grembo. Un processo durato poco meno di mezz’ora con la paziente che, una volta eseguite le operazioni al triage, è stata rispedita in reparto dove poi ha partorito. Il perché di tale macchinoso iter sarebbe da ricercare nella soppressione della seduta operatoria nel reparto di ostetricia.
“Si possono prenotare dei parti cesarei – ci spiega un’infermiera – ma solo in caso di gravidanza a rischio oppure di bambino podalico o nel caso di gestante che ha già subìto parti cesarei. In quel caso la paziente viene pre-ospedalizzata, ovvero sottoposta ad analisi e prenotata per un cesareo”.
Nel caso in cui non ci si trovi di fronte a tali condizioni l’accesso al parto cesareo, se non in casi estremi (rischio di perdita di vita per feto o madre) è però negato.
“In alcuni casi tuttavia potrebbe essere consigliato – spiega ancora un’altra addetta del reparto – e a quel punto accade che si chieda al paziente di passare al pronto soccorso e il caso viene così trattato come urgenza. Il cortocircuito non si verificherebbe solo in quel reparto ma anche in caso di visite specialistiche come gastroscopie o esami radiologici.
A testimoniarlo è un uomo che dopo una visita allo stomaco programmata, è stato sottoposto ad un piccolo intervento chirurgico. “Mi hanno chiesto di scendere al pronto soccorso, lamentare un dolore e dire che ero già in cura presso un medico dell’ospedale”. Anche in questo caso, eseguito l’accesso, l’uomo sarebbe stato sottoposto a esame e intervento. A rimetterci, in questo sistema, sembrano essere tutti: i pazienti sono costretti a vagare per più reparti (chi non ha questa fortuna e non vuole o non può usufruire delle aziende private vede allungarsi i tempi d’attesa già al limite di quanto permesso dalla legge); gli operatori del pronto soccorso vengono ancor più oberati di lavoro (quando recenti ispezioni da parte dei carabinieri del Nas hanno evidenziato gravi carenze strutturali del reparto) e gli stessi medici dei reparti si vedono costretti a creare escamotage per aggirare le strette maglie in cui sono costretti ad operare, in un regime sempre più orientato all’utilizzo di macchinari e professionalità solo in casi estremamente gravi.
25/01/2017