Dirottati a Roma per una semplice biopsia. E’ questo quanto accaduto, nel tempo, a diversi utenti della provincia di Latina che, per volontà o necessità economiche, non hanno voluto usufruire dei servizi delle diverse cliniche private presenti sul territorio. Alcuni esami o piccole operazioni non risultano infatti prenotabili all’interno nosocomio pontino. Quali siano e soprattutto perché solo alcuni reparti forniscano tale servizio (che pure è attivo nelle altre Asl della regione) non è chiaro. Non aiuta il sito della Asl pontina, che, nella sezione dedicata, indica in modo enigmatico che “Il ricovero programmato è previsto in tutti i reparti in cui sia possibile la programmazione delle prestazioni in regime di ricovero, per controlli o patologie non risolvibili ambulatorialmente”. Reperire informazioni dal numero verde è altrettanto arduo dato che gli operatori non forniscono informazioni ma possono solo verificare la disponibilità sulla base del numero di impegnativa presentata; un elenco completo degli esami erogati al Santa Maria Goretti non sembra esistere nemmeno allo sportello relazioni con il pubblico presente all’interno dell’ospedale. Eppure il servizio di day hospital era, seppur limitato, decisamente utilizzato sino al 2014 (sono riferiti a quell’anno gli ultimi dati disponibili pubblicati sul sito della Asl del capoluogo). In quell’anno, nel nosocomio pontino, erano 56 i posti letto dedicati al day surgery e hospital per i casi acuti, uno solo utilizzabile per la riabilitazione con 6,258 ricoveri programmati in tutti i presidi medici della provincia. L’impossibilità di accedere ad alcuni esami può rappresentare un impossibilità d’accesso alle cure mediche per gli utenti meno facoltosi. Per una semplice biopsia renale, ad esempio (un esame per il quale è necessario il ricovero per 24 ore dovendo essere eseguito in regime di anestesia) un utente pontino è costretto a trasferirsi a Roma (all’Umberto I l’esame è prenotabile ed eseguibile in poco meno di 15 giorni e ovviamente gratuito con la presentazione dell’impegnativa) oppure a usufruire di una clinica convenzionata o privata con un esborso di denaro che sfiora però i 500 euro. L’unico modo per evitare tale trasferimento resta quello di affidarsi al pronto soccorso nella “speranza” che il proprio caso sia giudicato abbastanza grave per poter essere sottoposti, in regime di emergenza, all’esame di cui si ha bisogno. Un meccanismo perverso che non giova di certo all’utente ma nemmeno all’azienda ospedaliera: il reparto e i macchinari sono infatti presenti h 24 nella struttura, così come i medici, che pure sono costretti ad operare solo in circostanze di emergenza per il paziente. A prima vista la mancata prestazione potrebbe essere valutata come un costo evitato da parte della struttura sanitaria ma questo guadagno iniziale deve poi fare i conti con un inevitabile aggravio delle condizioni mediche del paziente, che rischia di trasformarsi in un ricoverato di lungo corso. Nel frattempo il pronto soccorso continua a trasformarsi giornalmente in una vera e propria trincea con medici e infermieri costretti a turni massacranti in condizioni a volte al limite della sopportabilità.
15/02/2017