In primo grado il setino era stato condannato dal giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Latina, Marta Mattioli, a 30 anni di reclusione. Per il giudice Mattioli quello del latinense Di Raimo, il 5 giugno 2015, era stato un omicidio premeditato, compiuto da Petrianni dopo un lungo periodo di tensioni con il carrozziere, che non gli avrebbe pagato l’affitto del capannone di via Maina, a Sezze, dove lavorava. Petrianni, secondo il gup, avrebbe sparato alla vittima, uccidendola, e poi avrebbe gettato il cadavere in un pozzo e avrebbe cercato di disfarsi dell’auto del cognato. Un delitto caratterizzato da particolare crudeltà e assoluta mancanza di umana pietà.
Petrianni, che ha sempre sostenuto la tesi della legittima difesa, tramite l’avvocato Oreste Palmieri ha impugnato la sentenza e la Corte d’Assise d’Appello di Roma ha ora ridotto per lui la condanna a 18 anni di reclusione. Una decisione presa dopo che il procuratore generale, sostenuto dalla parte civile, aveva chiesto la conferma del pronunciamento di primo grado, contro cui ha dato battaglia per circa due ore l’avvocato Palmieri.
«Questi sono momenti tra i più difficili nella professione: quando si deve spiegare ad un’anziana madre che ha perso il figlio le ragioni di una pena così ridotta. “Me lo hanno ucciso due volte”, questo il suo grido disperato, davanti all’impotenza di questo difensore che ha avuto l’unico rammarico di aver dato voce ad una madre, che si sia amaramente sfogata, negando che suo figlio oggi abbia avuto giustizia», ha dichiarato il legale di parte civile, Francesco Vasaturo.