«Matteo è morto un’altra volta». Così Carlo Di Console, papà del 25enne deceduto lo scorso anno in un tragico incidente stradale, ha raccontato su Facebook quanto di più paradossale gli è accaduto. Circa dieci giorni fa qualcuno è entrato nel negozio di parrucchieri che gestisce, a Cisterna in Corso della Repubblica, e gli ha rubato il cellulare. Ma non un cellulare qualunque. Il cellulare di Matteo, che conteneva 5.000 fotografie, conversazioni, audio e numeri di telefono che servivano a sentire il figlio ancora in vita.
«Avevo appena finito di lavorare – spiega Carlo a Il Caffè -, i ragazzi erano già andati via. Stavo parlando al telefono, poi l’ho appoggiato un attimo e sono andato in bagno. Il tempo di tornare e non c’era più». Un furto insolito, considerando che il negozio è al primo piano e che il telefono non è certo dei più attraenti: è un Samsung che neanche producono più, che aveva valore solo un inestimabile valore affettivo. «Matteo non lo usava più quel telefono, lo sa come sono i ragazzi oggi, no? Ne aveva uno nuovo che funzionava meglio, che è andato distrutto il giorno dell’incidente. Da quando Matteo non c’è più sono riuscito a rigenerare questo che usava prima, perché non era più funzionante, e lo tenevo gelosamente. Aveva un sacco di difetti: non si riusciva ad accendere né a spegnere, per questo stavo attento a non farlo scaricare mai. Lo avevo anche portato a riparare, ma mi hanno consigliato di non farlo. Se qualcosa fosse andato storto e avessi perso tutti i ricordi di Matteo?».
Così quel telefono, con una cover che ritraeva Matteo e la sorella Francesca insieme, era diventato il mezzo per far sembrare che Matteo fosse ancora qui e dimenticare quel tragico 11 gennaio del 2016. «Lo utilizzavo come mio cellulare. Avevo passato lì la mia rubrica. Ora che me lo hanno rubato mi sento in colpa nei suoi riguardi: avevo questo oggetto e dovevo custodirlo. Spesso quando mi capitava di dimenticarlo in macchina tornavo di corsa indietro a prenderlo. Magari per una stupidaggine mi rompevano il vetro e lo portavano via».
Carlo ha provato in tutti i modi a riavere con sé il cellulare. Non gli interessa chi l’ha preso o per quale motivo, spera solo che possa mettersi una mano sul cuore e riportarlo a casa. «Sono passati una decina di giorni del giorno del furto: era un martedì sera. Ho sporto denuncia alla Polizia e parlato con il commissario. Ho scritto dappertutto, sui social e ai giornali per ritrovarlo. Ogni giorno controllo nelle aiuole, nella cassetta della posta, sotto al portone sperando di vederlo comparire. Magari chi lo ha rubato prova vergogna, ma non fa niente: non deve ridarlo per forza a me. Basta che trova un modo per ridarmi almeno questo piccolo grande sollievo».