La tv nazionale continua a parlare del caso “EcoX”, il disastro industriale ed ambientale provocato dall’incendio dello stabilimento di rifiuti a Pomezia, a due passi da Aprilia e dai Castelli Romani.
Domenica 28 maggio, su Italia 1, la trasmissione Le Iene ha mandato in onda un servizio sui fumi tossici. Nel servizio non manca il riferimento all’incendio della Eco X di Pomezia dello scorso 5 maggio. Il giornalista Giulio Golia ha intervistato il dottore Agostino Di Ciaula, esperto di rapporto tra ambiente e salute. «Questi episodi sono all’ordine del giorno in tutta Italia”, spiega. «Quando si brucia qualcosa si immettono nell’aria particelle solide definite particolato. Quelle che si conoscono come P10 ad esempio. Più sono sottili e più entrano nei polmoni e negli organi». Il particolato è la stessa sostanza prodotta dal traffico veicolare e può provocare danni leggeri come irritazione agli occhi e gola o problemi più importanti alla salute. «Il particolato dal 2013 è stato inserito tra i cancerogeni certi, che causano senza dubbio il cancro – spiega il dottore -. 7 milioni l’anno di morti per il particolato. Ma tutto dipende dal tempo di esposizione, dalla vicinanza all’area inquinata e dal livello di inquinamento». «Diossine e metalli pesanti possono entrare nella catena alimentare. Chi assume carne o latte di animali contaminati può contaminarsi a sua volta. Se una volta mangio una carota contaminata non fa nulla, ma se la mangio per 10 anni i problemi si potrebbero manifestare», chiarisce l’esperto.
SITUAZIONI CRONICHE
Questi incendi sono casi acuti, ma ci sono situazioni croniche con industrie che emettono gli stessi inquinanti emessi dall’incendio di Pomezia. Sembra qualcosa che assomiglia molto alla realtà a sud di Roma, tra Pomezia, Ardea, Agro pontino e Castelli Romani. «Sono concentrazioni basse su un periodo esteso. Si hanno conseguenze sanitarie sul lungo termine». L’Italia è il Paese con il maggior numero di cementifici e inceneritori, impianti cioè che bruciano rifiuti. «Come ad esempio quello di Malagrotta, nella cui zona è aumentato il rischio di mortalità per tumore al pancreas», spiega il dottor Di Ciaula. «Bruciare i rifiuti è il peggior modo di trattarli. Perché bruciarli quando si può avviare un circuito virtuoso imprenditoriale e sostenibile». Il dottor Di Ciaula infatti coglie l’occasione dell’intervista per sottolineare l’importanza dell’industria green per l’ecosostenibilità. Eppure certa politica continua a puntare sugli inceneritori, come ad esempio quello previsto ad Albano, a pochi passi da Ardea ed Aprilia. I 70 container con i componenti dell’inceneritore più grande d’Europa previsto in quel sito sono ancora lì, presso l’impianto di trattamento dei rifiuti Tmb incendiato il 30 giugno 2016, dove tra l’altro c’è anche il settimo invaso della discarica lasciato a se stesso dopo il sequestro giudiziario seguito all’incendio. Anche il rogo di Albano è stato disastroso: «un incendio molto grave […] i danni sono stati rilevanti» ha spiegato il comandante del Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri di Roma, Marco Cavallo, alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla criminalità nei rifiuti. Ma in quel caso sono state analizzate solo le PM10, ma non le diossine, i pericolosi PCB e gli idrocarburi, sostanze ancora più micropisiche e quindi più insidiose delle PM10.
CHI CONTROLLA E PREVIENE DAVVERO?
Sempre lì ad Albano, ha sottolineato il capitano Cavallo dei NOE, «negli ultimi anni ci sono stati tre incendi ai TMB». Inoltre, dopo l’incendio EcoX non risulta che le autorità abbiano valutato il cosiddetto “effetto cumulo”, ossia il sommarsi delle varie sostanze, quindi dell’inquinamento e dei suoi possibili effetti. Infatti le sostanze mischiandosi tra loro non solo aumentano nella quantità, ma anche nella loro potenziale nocività. La scienza parla di sostanze “bioaccumulabili”: si depositano nel corpo e lì restano, senza essere smaltite. Oltre ai veleni sprigionati dall’incendio EcoX, l’area tra Pomezia, Ardea, Castelli Romani Aprilia e Latina è soggetta da decenni a diverse emissioni inquinanti dell’aria e non solo. Un caso tipico di habitat con “effetto cumulo”, che richiederebbe quindi una valutazione d’insieme, se si vuol davvero verificare cosa sono costretti a respirare i cittadini e se si vuole quindi intervenire per tutelare la salute e l’ambiente. La Regione Lazio aveva aveva il progetto Eras Lazio, importante ricerca sulla salute di chi vive nel raggio di 5-7 km dagli impianti di trattamento rifiuti. Tra quelle popolazioni, lo studio ha rilevato in estrema sintesi più cancri, più malattie e più ricoveri rispetto alla media regionale. Ebbene, dopo che il Caffè ne diede notizia nek 2015, quello studio non risulta più attivo. Come mai? Intanto l’Unione europea si appresta ad irrogarci multe salate proprio per la grave inosservanza dei limiti in fatto di qualità dell’aria e particolato. Ma soluzione, ormai, sembra consolidata: occhio non vede e cuore non duole. Si aspetta che la gente dimentichi il disastro di turno e si continua a nascondere la polvere – nel vero senso della parola – sotto il tappeto. E lo zerbino sono tutti i cittadini, bambini, adulti e anziani.