Chi non ha usato almeno una volta su Facebook l’hashtag #mainagioia? Beh, questo tormentone ha un padre ed è di Latina. Si chiama Lorenzo Cirelli, ha 24 anni e al momento ha smesso di studiare per dedicarsi alla sua passione, la comunicazione. Ha anche un marchio insieme al suo amico Lorenzo Farina e insieme aiutano le aziende a crescere sul web. Ma la storia di come Lorenzo ha iniziato a farsi strada nella vita passa proprio per questo motto, l’hashtag più usato per chiudere racconti e disavventure. «La locuzione “Mai una gioia” è sempre esistita, non l’ho inventata io, ma è tipica del basso Lazio – ci dice Lorenzo -. Poi ho aperto un account per gioco con il nome di Giacomo Leopardi per poter giocare con alcune pagine social che prevedevano questa dinamica. Condividevo molte frasi e poesie di Leopardi ed ha avuto successo. Spesso mi capitava di finire alcuni scherzi con #Mainagioia e siccome poi ho voluto aprire una pagina dove i fan potevano interagire con me, avevo bisogno di un hashtag per distinguere le mie attività. Sono stati i fan a decidere quale sarebbe stato e si è arrivati al ballottaggio tra “#mainagioia” e “#mifuomolasiepe”. Fortunatamente ha vinto il primo. Oggi abbiamo 425mila fan e quell’hashtag è usato in tutto il paese». Ma Lorenzo non si limita al successo dei click e da ragazzo cresciuto nel pieno della rivoluzione social sa guardare oltre il divertimento e intravedere una sorta di responsabilità implicita al successo. «Essere seguiti e far divertire fa piacere a tutti. Ma la più grande soddisfazione è quella di essere diventato nel mio piccolo una specie di ufficio stampa di Leopardi, del quale veicolo ogni notizia possibile, ma anche della letteratura in generale. Infatti diffondiamo rassegne letterarie, nuove uscite e citazioni con entusiasmo e spirito di servizio, lieti soprattutto che i giovani, attraverso noi, si informano e si divertono. E’ bello poter aiutare, anche solo un pochino, la diffusione della cultura e dell’informazione di settore in questo paese dove si legge davvero poco e in un contesto come quello di Facebook dove non è la cultura spesso ad essere protagonista».
Armando Caso