LAZIO SOTTO ATTACCO: BOSCHI, MA ANCHE TERRENI AGRICOLI
Negli ultimi cinque anni nel Lazio sono andati in fumo oltre 23mila ettari di territorio, 230 milioni di metri quadrati, ovvero un’area grande quanto 46mila campi da calcio di serie A. Sempre in territorio laziale, nel 2016 secondo la Protezione Civile l’86,18% degli incendi si sono verificati per cause volontarie, l’8,55% per cause accidentali, il 4,6% per cause dubbie e solo lo 0,67% per cause naturali.
L’analisi dei terreni attraversati dal fuoco nel quinquennio 2010-2015 dimostra che ad essere coinvolte dalle fiamme non sono più solo le cosiddette aree boschive, ovvero quelle piene di alberi, parchi e pinete, ma sempre più spesso anche aree urbane e agricole. Un dato, quest’ultimo, particolarmente evidente a Roma e provincia dove negli ultimi 5 anni le aree boschive bruciate rappresentano ‘solo’ il 46,8% del totale dei territori coinvolti da un incendio.
ROGHI IN CENTRO E PERIFERIA
Le fiamme divampano nella metropoli di Roma e a Latina, seconda città del Lazio, ma non risparmiano nemmeno i piccoli borghi di provincia. Emblematici i casi delle automobili che prendono fuoco in pieno centro, ma sono ancora più gravi i roghi tossici che divampano in periferia e che colpiscono ogni anno certi autodemolitori –gli sfasciacarrozze, che in definitiva sono siti pieni di rifiuti classificati come speciali – e campi rom, contro cui lo Stato sembra impotente. Sempre più spesso a finire incenerite sono anche le aree agricole.
Complice la siccità e la cementificazione del territorio, che li rende molto secchi e aridi, terreni coltivati o incolti divengono facile preda delle fiamme e magari di chi vuole costruirci.
SEGNALI DI FUMO TRA PALAZZINARI E POLITICI
Non sempre però la colpa è della mancanza di manutenzione di roghi e sterpaglie. A volte i terreni agricoli incendiati sono in attesa di essere destinati ad attività più redditizie e su di essi si concentra l’attenzione ‘particolare’ di qualche imprenditore che così ‘comunica’ con i propri colleghi o con politici e amministratori locali o regionali. A questi ultimi, infatti, la legge affida il delicato compito di pianificare lo sviluppo urbanistico del territorio che governano e quindi a decidere dove si può costruire e cosa può essere costruito (capannoni, ville, palazzi, centri commerciali).
IL ‘GIRO’ DEI RIFIUTI
Sembra ‘chirurgica’ anche la lunga e grave sequenza di incendi che negli ultimi tre mesi ha colpito alcuni siti industriali di trattamento dei rifiuti urbani nel Lazio o collegati al settore. Dapprima l’incendio dei capannoni per lo stoccaggio di rifiuti urbani e industriali Eco X a Pomezia, lo scorso maggio, a pochi km dalla Capitale e al confine con Ardea, Aprilia e Castelli Romani. Pochi giorni dopo, il rogo al deposito di spazzatura urbana in via di Malagrotta a Roma, del Gruppo Colari capitanato da Manlio Cerroni, considerato dalla Procura romana monopolista del settore rifiuti, che aveva visto bruciare il 30 giugno 2016 il suo impianto Tmb ad Albano. A giugno di quest’anno, invece, è stata la volta dei centri monnezzari di Monterotondo (Roma) e Casale Bussi (Viterbo) sempre riconducibili allo stesso sfortunato gruppo imprenditoriale.
Le fiamme hanno poi avvolto il deposito dei cassonetti Ama, a Tor de’ Cenci, sulla via Pontina alle porte di Roma sud. Poco più giù, nel territorio di Velletri a due passi da Aprilia, hanno preso fuoco tre lotti il 6 luglio: uno è quello della ex discarica comunale mai bonificata né messa in sicurezza, un secondo terreno è quello sul quale la municipalizzata di Velletri, Albano e Lariano Volsca Ambiente e Servizi Spa vuole realizzare un impianto per trattare 30mila tonnellate l’anno d’immondizia, mentre il terzo campo, il più grande, appartiene alla Enerambiente Spa ex Slia riconducibile a Cerroni.
LO STATO DORME?
Legambiente, l’associazione ambientalista, parla di “una mano criminale” che appicca gli incendi. Di sicuro le misure di prevenzione e controllo sono decisamente insufficienti rispetto alla gravità e diffusione del fenomeno: sempre nel Lazio, “fa impressione l’aumento complessivo di incendi che nell’ultimo mese sono stati pari a quelli di tutto lo scorso anno”, sottolinea Legambiente a metà luglio. Spesso inoltre il personale dei Vigili del Fuoco e la Protezione Civile ha uomini e mezzi inadeguati. Basti pensare al fatto che i mezzi aerei e terrestri sono insufficienti.
Tranne qualche sporadico caso di piromane-psicopatico sbattuto in prima pagina, le indagini giudiziarie non sono sempre rapide e efficaci e troppo spesso si concludono con un nulla di fatto.
Stop roghi con i contratti di responsabilità
A guardare i Tg e lo stillicidio delle notizie sui continui e ormai puntuali incendi viene da scoraggiarsi. Un mix di rabbia e impotenza s’accende a vedere certe facce di manager pubblici e politici ingordi e incapaci, mentre i Vigili del fuoco sono pochi e senza i soldi per comprare gli schiumogeni – più efficienti dell’acqua -, come accaduto per il disastro EcoX a Pomezia lo scorso maggio. Per l’intera Roma e provincia sono circa 200 a turno, uno ogni 17mila abitanti, quando dovrebbero essere uno ogni mille, e a Latina non va meglio. Ma contro gli incendi si potrebbe fare molto e subito. L’andazzo, invece, sembra quello di voler privatizzare anche questo delicato settore.
I CONTRATTI DI RESPONSABILITÀ
Il problema si potrebbe aggredire se solo si smettesse di restare abbarbicati alle solita logica dell’emergenza e si puntasse sulla prevenzione. Molto efficaci si sono dimostrati i “contratti di responsabilità”: l’Ente pubblico affida ad associazioni e agricoltori il monitoraggio del territorio, dotandoli di sistemi di allerta e collegamento con le forze di intervento e mezzi per il primo contrasto ai fuochi. Meno ettari bruciano e più i volontari guadagnano. Trovata rivelatasi geniale in una terra da record per quantità e caratura criminale in fatto di incendi: la Calabria. Lanciati dal prof Tonino Perna, docente di sociologia economica all’Università di Messina, quando fu Direttore del Parco dell’Aspromonte dal 2000 al 2005, i contratti di responsabilità hanno sortito effetti strabilianti: aree incendiate ridotte del 90%, con un costo medio annuo di 2,5 euro per ettaro.
LAZIO:”ˆBASTEREBBERO 152MILA EURO
I”ˆcirca 605mila ettari di aree boscate del Lazio potrebbero essere vegliate preventivamente da squadre di volontari per l’irrisoria cifra di 151.000 euro l’anno. Nel Lazio nessuno sembra interessato a questa soluzione. Nella devastata Sicilia, invece, l’idea è stata ripescata: l’Assessore regionale alle Attività produttive e all’Agricoltura, Guido Signorino, ha annunciato che avvieranno contratti di responsabilità in via sperimentale a Messina. La cosa è piaciuta alle associazioni dei coltivatori siculi.
SPECIALISTI FORESTALI INUTILIZZATI
Inoltre, i roghi si potrebbero affrontare valorizzando i Forestali, recentemente soppressi come Corpo. “Il loro prezioso patrimonio di mezzi sul fronte della lotta agli incendi boschivi, giace praticamente inutilizzato nei capannoni, bloccato dalla burocrazia, cioè dalla mancanza di decreti attuativi della riforma Madia”. Lo denuncia il sindacato Usb dei Vigili del Fuoco, che stigmatizza anche un documento dei Carabinieri – che hanno assrobito il 90% dei Forestali: il 7 luglio il Comando unità per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare dell’Arma blocca i Forestalinegli incendi boschivi”, consentendogli di intervenire solo “per soffocare piccoli fuochi”. Il Corpo Forestale vantava in tutta Italia 2.500 – 3.000 uomini specialisti dell’antincendio. Solo 360 sono stati accorpati ai Vigili del fuoco, inclusi molti elicotteristi: come mai? «Quelli del reparto volo vorrebbero riprendere a fare gli incendi e quelli che spegnevano incendi a terra non lo fanno più e tutta la loro professionalità se ne sta andando a quel paese», tuona Costantino Saporito, coordinatore nazionale del sindacato Usb Vigili del fuoco. «Molti poi, malgrado fossero DOS, direttore operazioni di spegnimento, che gestisce grandi incendi, una volta finiti tra i pompieri, il Corpo nazionale dei Vigili del fuoco non li ha dichiarati DOS! L’anno scorso nel Lazio c’erano 100 DOS, tutti del Corpo forestale e zero DOS dei Vigili del Fuoco: adesso sono solo 14, tutti pompieri!».
BUSINESS PER I PRIVATI?
«I Carabinieri si sono accaparrati 16 dei 32 elicotteri dell’ex Corpo Forestale – aggiunge il sindacalista dei pompieri -: non li usano in funzione antincendio, ma solo per scopi militari. Gli altri 16 elicotteri e molti componenti del reparto volo della ex Forestale, sono passati ai Vigili del fuoco, diventati così la seconda compagnia aerea civile del Paese, però senza poterli utilizzare perché finiti nel tritasassi burocratico di pareri, direttive, ordini di servizio eccetera. La Forestale è stata distrutta – affonda il pompiere leader sindacale -, fondamentalmente per la speculazione edilizia e per privatizzare realmente la prevenzione antincendio negli ambienti boschivi. Adesso finalmente si potrà dire: l’antincendio statale non funziona». Per poi avere la giustificazione di dover ricorrere ai privati. Copione già visto per l’acqua, ad esempio. Coi risultati che vediamo: a Roma si perde il 44,1% dell’acqua e a Latina e provincia quasi il 70%. Con l’ulteriore riduzione delle piogge, in atto e nota da anni, il circolo vizioso si chiude: sempre meno acqua, terreni aridi, incendi alle stelle. La Regione Lazio, che per legge dal 2000 è titolare della gestione dei boschi – aggiunge Legambiente nel suo dossier sugli incendi – non ha ancora approvato il Piano AIB (antincendi boschivi) 2017: si interviene senza strategia. Che aridità.