Un uomo che con garbo e naturalezza ha raccontato la sua esistenza, unica per forza di cose e votata ad una “missione” che ha avuto un inizio e che non avrà mai fine, nonostante la pensione per raggiunti limiti di età arrivata da qualche mese. Il concetto di sacrificio è stato uno dei temi portanti della serata, così come la rinuncia: “Io ho due rammarichi – ha spiegato il graduato – e cioè non aver vissuto i miei figli, non averli seguiti durante la loro infanzia, e a livello lavorativo, non essere riuscito ad assicurare alla Giustizia il latitante Matteo Messina Denaro, che abitava a pochi metri da casa mia”.
Per il Comandante Alfa quello presentato a Velletri è il secondo libro, dopo l’esordio con Cuore di rondine: un modo di raccontare alla gente e ai cittadini il lavoro dei GIS – cercando di far capire il sacrificio continuo, animato da autentico spirito di servizio e soprattutto da un grandissimo lavoro di squadra. “Ringrazio i miei genitori – ha dichiarato il Comandante – per avermi trasmesso sin da bambino i valori del bene e del giusto. Sono due valori semplici ma fondamentali per fare questo lavoro. Bisogna, secondo me, recuperare il patriottismo, quel senso della patria che rischia di sfumare. Noi italiani abbiamo un reparto d’eccellenza, anche se è inutile negare che inizialmente ci siamo ispirati ad altri reparti per il Gruppo di Intervento Speciale. Ora, però, sono i paesi esteri che guardano a noi come modello. Lavoriamo a stretto contatto con tutte le istituzioni e le forze dell’ordine, con le quali c’è un coordinamento, perché a livello investigativo il loro compito è basilare”. Uno dei punti più interessanti toccati dal dibattito è stato quello relativo ai giovani che decidono di entrare nella squadra dei GIS, intraprendendo un percorso di addestramento e impossibile da proseguire se non c’è alla base una forte motivazione: “Non ci servono dei rambo, o delle persone che credono di poter spaccare tutto: al fisico preferiamo la testa, perché stare nei GIS non significa fare un film ma avere a che fare con la dura realtà”.
La vita del Comandante Alfa, nell’ombra, è fatta di eroici momenti ma anche di amare delusioni: la cosa che più gratifica l’autore di Io vivo nell’ombra è l’aver contribuito alla sicurezza della collettività e l’aver alimentato una speranza di un futuro migliore insieme alla sua squadra, con la quale c’è stata una unità e una sinergia assoluta. Vivere in presa diretta i principali fatti di cronaca del nostro paese, in un’esperienza di oltre quarant’anni, è una grande responsabilità: “Ci vuole coraggio, spregiudicatezza ma anche testa sulle spalle. Il primo libro, Cuore di rondine, si chiama così da una sorta di gioco nato con mio nonno, il quale mi disse che per fare grandi cose avrei dovuto mangiare il cuore di una rondine”. Ovviamente il lavoro del Comandante ha avuto anche dei momenti duri: la ferita aperta di Nassyria, i contatti con personaggi famosi (ha raccontato, ad esempio, l’impatto con Sarkozy), in generale la consapevolezza di aver rinunciato a tanti aspetti edificanti della vita e ad una vita privata (“Anche se mia moglie è la colonna portante, una donna straordinaria senza la quale non avrei fatto nulla”). Vivere nell’ombra, tuttavia, aiuta anche a servire meglio lo Stato: “So che è difficile, ma lo rifarei: l’idea di aver seminato e forse contribuito a rendere migliore l’avvenire di tante persone mi fa stare bene con me stesso e con la mia coscienza”. I due libri del Comandante non hanno alcuna finalità di lucro: il primo, Cuore di rondine, destina il suo ricavato per gli orfani dei Carabinieri morti in servizio.
Il secondo, Io vivo nell’ombra, servirà invece ad acquistare attrezzature per l’Ospedale di Castelvetrano, senza fare donazioni in denaro e rispondendo alle precise richieste dei medici del nosocomio siciliano.