Con gesti sapienti, le mani di Marco Giannini (che preferisce la definizione di “ciabattino” a quella più comune di calzolaio) ridisegnano una sequenza di movimenti che sono stati ripetuti migliaia e migliaia di volte. Tanto da aver levigato la rotella della vecchia macchina da cucire che ci mostra con orgoglio. “Avrà almeno settant’anni – ci racconta – su questa ci lavorava mio padre e oggi ci lavoro io” . Storia, tempo, pazienza e fatica sono valori rimasti al vertice di un mondo ovattato e suggestivo come quello dell’artigianato. Oggi, in termini tecnici, si definisce “artigiano” colui che con il proprio lavoro o ingegno si assume in prima persona gli oneri e i doveri di un’attività . Ma più nello specifico abbiamo cercato le “botteghe” , come quelle che davano vita ai centri di tutte le città di Europa prima che il commercio cambiasse passo virando decisamente su valori più rapidi e di rapido consumo. “Quando un cliente è contento del lavoro e torna per me è la più grande soddisfazione” ci dice Giannini nella sua bottega di piazza Moro mentre ci mostra come si risuola una scarpa. Una aspirazione semplice che però è la stessa che fa luccicare gli occhi di Roberto Andreatini mentre dal suo studio di via Don Minzoni osserva con ammirazione la grande statua in legno di un Cristo crocefisso. “Restaurare quest’opera vecchia di secoli sarà una grandissima soddisfazione, perchà© l’autore è sconosciuto, ma era un grande maestro della scultura. Riportarlo a nuova vita sarà come partecipare alla maestria di questo sconosciuto artista” . L’opera di un restauratore di arte antica come Andreatini e quella di un ciabattino, per quanto lontana, ha molti punti in comune. Anche perchà© l’artigiano è anarchico e nel suo lavoro sente dentro di sà© la responsabilità dell’artista. “Io sono un artista – dice sicuro Giovanni Mazzarino, tappezziere di Piazza Moro mentre ci mostra alcuni pezzi del suo lavoro -. Voi vedete la bottega in disordine e con attrezzi ovunque. Ma se dovessi fare uno showroom elegante e alla moda perderei più tempo a curare l’estetica del mio negozio anzichà© dare al cliente un prodotto di qualità ” . Flavio Tenan è un orologiaio che ha il suo minuscolo studio in via Enrico Toti. Lui è uno dei pochi che non ha “ereditato” il lavoro e la passione ma gli è nata dentro per hobby: “Ho cominciato per caso con un amico all’estero, ho imparato e studiato e faccio questo lavoro ormai da una vita” . I clienti in attesa del loro turno che lo guardano lavorare dalla piccola vetrinetta della bottega parlano di lui con ammirazione. “Per fare questo lavoro – aggiunge Aurelio, pellaio di viale Kennedy – serve la spinta della gente che ti apprezza. Non si può fare senza”. Tutti questi artigiani sono uniti dalla grande passione per il mestiere e dalla consapevolezza che per quanta esperienza si abbia e per quanta maestria si possieda, lo strumento principe del mestiere è sempre lo stesso: la pazienza. E a spiegarcelo meglio è una “allieva” , la restauratrice Giusy Picca che ha intrapreso questa strada per pura passione. “Oggi i ragazzi vogliono lo stipendio, vogliono sapere prima di tutto l’orario del lavoro. Perchà© il lavoro, nella maggior parte dei casi viene visto solo come uno strumento di sussistenza e non come una di quelle cose che ti fanno tirare tardi alla ricerca di una soluzione nuova. Nella cultura del tutto e subito – conclude – questo appare naturale. La pazienza è una dote rara” . Una mentalità che ormai è migrata dal centro nevralgico del commercio anche se è riscontrabile in un’infinità di attività “moderne” . Ma senza nulla togliere a nessuno, certamente l’atmosfera e la sensazione che qualcosa di unico nasca dal ventre tiepido di queste arti quasi dimenticate è innegabile e meriterebbe di essere preservato.
Ivan Eotvos
Foto: Augusta Calandrini
13/09/2017