LA ‘SINDROME DEL LIKE’
A misurare e scoprire il fenomeno con innovativi modelli matematici è un giovane scienziato laziale: Walter Quattrociocchi, 37 anni ad agosto scorso, docente all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Un geniaccio di Albano, «sono cresciuto a Pavona, per la precisione, e mi sono diplomato al liceo scientifico Vailati di Genzano», racconta al Caffè.
«Il problema – spiega – siamo noi come esseri umani di fronte alla complessità del mondo che ci è esplosa davanti: si crede in certe narrazioni, e nelle bufale, perché corrispondono a quel che ci piace, confermano quel che abbiamo dentro. È il meccanismo del confirmation bias, il pregiudizio di conferma: cerco conferme al mio sentire e magari questo mi fa sentire importante, mi dà un ruolo nei processi d’informazione». Ci si chiude sempre più nella echo chamber, la camera di risonanza che conferma e amplifica la propria visione. Si chiama polarizzazione: tribù virtuali su poli estremi, tra complottismo e narcisismo, indignazione, paure e spinte idealistiche, alimentati dalla sindrome del pollicione Like, il “mi piace” di facebook, ma pure da motivata sfiducia nei media tradizionali e giornalisti, nelle istituzioni, in chi dovrebbe dire come stanno le cose. «Nel giornalismo, ma anche in molta parte del mondo accademico, non si comunica più per servizio – affonda il prof Quattrociocchi -, ma perché si fa parte di un potere, di una élite». Basta guardare i silenzi o le supercazzole su certa stampa locale in tema di rifiuti, acqua, amministrazioni locali.
QUATTROCIOCCHI AL CERN
Le analisi del giovane Prof hanno cambiato il modo di vedere e considerare internet, l’informazione, i social media. La presidente della Camera, Laura Boldrini, lo ha voluto per un convegno a Montecitorio, il World Economic Forum gli ha chiesto un contributo per il Global Risk Report, la bibbia dei rischi globali. Le sue ricerche sono ormai un modello di riferimento nel mondo. Walter Il 4 ottobre era al Cern di Ginevra, il più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle, ad un convegno della European broadcasting union (rete di canali Tv pubblici). »Lì, nel posto dove internet è nato – – ci racconta -, ho spiegato come e perché internet ha portato la torre di babele anziché portare intelligenza collettiva come si profetizzava inizialmente». A gonfiare il fenomeno c’è il modello di business imperante on line: più clic si ricevono e più soldi si fanno. Bisogna attrarre più pubblico possibile, facendo leva sulla pancia.
RICERCHE EPOCALI
Il pregiudizio di conferma non è una novità in campo scientifico. Ma le ricerche del team di Quattrociocchi sui comportamenti sui social media sono massive, segnano un svolta: una su 3 milioni di italiani, un’altra su 54 milioni di americani e una terza su 376 milioni di internauti nel mondo. Dopo la loro pubblicazione, il Washington Post ha eliminato la rubrica sulla caccia alle bufale, il debunking. «Siamo tutti curiosi e desiderosi di conoscere – spiega il ricercatore – e con internet abbiamo accesso illimitato a illimitate informazioni, senza intermediari né filtri. Vi troviamo contenuti che supportano la nostra visione e opinione, le credenze su cui basiamo la nostra identità e percezione del mondo, e quindi le facciamo nostre».
L’ERA DELL’OMOFILIA: CI SI PIACE TRA UGUALI
Scatta quel che il prof Quattrociocchi definisce “omofilia” nell’interessante libro “Misinformation. Guida alla società dell’informazione e della credulità”, scritto con Antonella Vicini. «Il risultato empirico dei nostri studi su milioni di persone è che si ignorano inconsciamente le informazioni che contrastano con tutto ciò. Cerco e prendo le informazioni che mi aspetto e desidero, voglio avere ragione. Già sapere che c’è questo marchingegno è un passo notevole: una grande verità è che nessuno è immune dal confirmation bias, chiunque può cadere in bufale». Vale anche anche chi scrive questo articolo. Al giornale il Caffè non pensiamo di avere sempre ragione, possiamo sbagliare. Ma sappiamo bene cosa succede quando sbugiardiamo, ad esempio, il potente, il trafficone o il politicante locale di turno con prove verificate: loro ed i loro clientes ci attaccano sui social (oltre ad attaccarci con le solite querele pretestuose, puntualmente liquefatte dai Giudici).
Liberi di farlo. Ma noi non possiamo cambiare i fatti che scopriamo e raccontiamo. Non “piace”? Va bene. Non attaccheremo nessuno su Facebook e non vogliamo vendervi nulla: il giornale il Caffè è gratis e non ha mai preso sussidi pubblici per l’editoria, come qualcuno continua a raccontarsi.
RICERCHE NEL LAZIO? SE QUALCUNO SI SVEGLIASSE…
Quest’ultima e un’altra bufala che conferma gli studi di Walter Quattrociocchi. Da anni lo scriviamo in prima pagina che il Caffè non riceve contributi per l’editoria. È documentato e documentabile. Ma la mamma del credulone è sempre incinta. Al livello locale, qui nel Lazio, magari tra Latina e provincia, Castelli Romani, Roma e dintorni il prof di Albano famoso nel mondo non disdegnerebbe qualche ricerca mirata.
«Mi piacerebbe analizzare quali sono le tematiche e le narrazioni dominanti per trovare il modo di portare un’informazione seria, pacata, indipendente e puntuale utilizzando i modelli matematici che tengano conto delle percezioni e del fabbisogno informativo degli utenti locali. Ma non abbiamo interlocutori». Forse a qualcuno va bene così.
Il prof. Walter Quattrociocchi ci racconta le sue ricerche: «In un esperimento su 3 milioni di italiani, oltre l’80% delle persone accetta come vero quel che conferma le loro visioni. Siamo andati a vedere cosa succede se uno ti propone notizie false che conferma la tua visione del mondo. Altro esperimento su 54 milioni di persone in America: cosa succede se ti dò un’informazione vera che però contrasta con le tue convinzioni? Mi ignori proprio, non consulti più la mia pagina Facebook. Se poi insisto con la notizia sgradita, l’utente si chiude ancora di più e si arrabbia. I pochissimi che reagiscono vanno a caccia di altre informazioni complottiste, che confermano la loro opinione». Un altro nostro esperimento riguarda il consumo di giornali su Facebook: osservando 376 milioni di persone su scala mondiale, risulta che ci si ferma su poche testate. «Più l’utente è attivo e più si specializza: sui social riduce il numero di pagine che consulta e resta su quelle, nella sua comfort zone, dove tutto “mi piace” e mi sta bene. Diventa un’esperienza di autoreferenzialità e chiusura», conclude Quattrociocchi.