Dopo il sopore chiacchierone degli anni passati sulla tutela dei cittadini colpiti dalla servitù nucleare, al Consiglio comunale di Latina si è parlato del “ristoro” nucleare. Parliamo dell’obolo annuale di 100 milioni di euro, inizialmente, per le 9 aree nuclearizzate d’Italia, previsto nel novembre 2003, e rastrellato tramite la bolletta elettrica pagata da tutti. Qui, sarebbe una sorta di risarcimento per i disagi – economici, sociali, ambientali, agricoli, industriali – subìti dal territorio a causa della centrale di Borgo Sabotino. Per l’area pontina circa 5 milioni di euro l’anno, così ripartiti: metà a Latina, un quarto (un milione 250mila euro) all’Ente Provincia e il restante 25% (un milione 250mila euro) in parti uguali ai Comuni nel raggio di 10 km dal sito, cioè Cisterna e Nettuno. La questione è stata sollevata dal Consigliere Matteo Coluzzi. Nel 2004 il Governo Berlusconi bis ha tolto il 70% a quelle somme, a partire dal 2005. Per l’area pontina i circa 5 milioni di euro l’anno sono scesi così a uno e mezzo. Tutti i Comuni hanno fatto ricorso, nel 2011. Non Latina, allora in mano al Commissario prefettizio Guido Nardone, che si trovava del resto nella duplice veste di uomo del Governo in Provincia, tali sono i Prefetti, che avrebbe dovuto fare causa proprio al Governo. Né l’Amministrazione arrivata dopo di lui, guidata dall’avvocato Giovanni Di Giorgi, si è mossa in tal senso.
17 MILIONI IN MENO A LATINA
Finora, al Comune di Latina sono arrivati oltre 8 milioni di euro, per 10 annualità: 17 milioni in meno rispetto al 100% dei fondi previsti inizialmente. E circa 7,5 milioni in meno mancano all’appello per la Provincia e i Comuni di Cisterna e Nettuno. Nel corso del question time – come nell’Agro si chiama adesso il botta e risposta tra governo e parlamentino cittadino – Coluzzi ha chiesto conto su cosa farà l’Amministrazione Coletta rispetto al contenzioso, che a luglio 2016 in primo grado ha visto il Tribunale di Roma dare ragione alle comunità locali: la sentenza, arrivata appena insediatosi il neoeletto Sindaco Coletta, ha deciso che ai Comuni va dato il 100% delle compensazioni, dal 2005 in poi. Il Governo piange miseria e fa ricorso in Appello.
«La legge dà alla Presidenza del Consiglio dei Ministri 10 anni per pagare – precisa Lessio -, ma non prevede conseguenze se non paga… ». Le compensazioni relative al 2005 si sono così prescritte come se nulla fosse per la sola Latina, perché non ha aderito al ricorso. Gli altri Comuni, invece, hanno congelato il decorso del termine facendo causa alla Presidenza del Consiglio. Solo con la diffida formale inviata dal Sindaco Damiano Coletta a Palazzo Chigi tale decorso è stato fermato anche per il capoluogo pontino a partire dal 2006.
LESSIO: «ASPETTIAMO LA SENTENZA»
L’Assessore Lessio in aula ha spiegato il passato, il presente e l’auspicato futuro. Il succo è: sui vecchi errori non chiedete a noi, non stiamo dormendo, la cosa più opportuna adesso è attendere la sentenza d’Appello per poi approntare la contromossa. «Anche su indicazione dell’Avvocatura del Comune – spiega l’Assessore – abbiamo optato per tale strada». Se in secondo grado i giudici confermeranno che ai Comuni va pagato il 100%, allora – questo il ragionamento – anche Latina potrà ricevere i fondi. E se il governo glieli negherà? «Faremo ricorso o istanza di ammissione alle compensazioni riconosciute agli altri – dice Lessio – e se il Governo ci costringerà ad un nuovo contenzioso, ci dovrà dare anche gli interessi. Se poi non paga comunque, gli faremo un atto d’ingiunzione». La sentenza d’Appello è attesa per dicembre 2018. In ogni caso la causa appare destinata a proseguire.
Se infatti i giudici di secondo grado daranno anch’essi ragione ai Comuni, il Governo farà ricorso in Cassazione. Ma altrettanto faranno i Comuni se l’Appello gli darà torto. Da notare che comunque l’erogazione del “ristoro” tranciato del 70% è indietro di tre annualità e che è stata sospesa l’anno scorso. I fondi sono stati dirottati alle aree terremotate.
LI USEREMO PER LATINA MARE
I soldi del ristoro in passato sostanzialmente venivano spesi per il look della Città, anche con piante da 300 euro l’una, poi non innaffiate e seccate. Che ci farà il Comune di Coletta coi soldi del cosiddetto ristoro?
«Fondamentalmente li useremo – annuncia Lessio –, per migliorare e valorizzare la città, in centro, vicino al mare e in periferia, come vuole la legge». In parte per il ripascimento, l’intervento delle barriere soffolte realizzate nel 2002-2004, poi arenatosi per mancanza di fondi regionali e perché Comune e Regione non firmarono mai la convenzione per regolarne la manutenzione con lo spostamento di 30mila metri cubi di sabbia l’anno. Ma pure strade e marciapiedi. «Vorrei fare la manutenzione degli impianti di fitodepurazione – spera l’Assessore -, bonificare, risanare e disinquinare i canali costieri Mastropietro e Colmata, dove sversa il depuratore di Foceverde: potrebbero ossigenare il lago di Fogliano con acqua dolce. E poi faremo interventi pedonali sulle traverse di via Massaro, la parallela della litoranea, che porteranno al mare».
Nucleare di Latina in Parlamento: i controlli?
Per le emissioni delle nostre automobili vigono limiti e modalità di controllo. Periodicamente e a pagamento, siamo obbligati a farle revisionare. Per i siti nucleari? «Non esistono le regole precise per controllare i radionuclidi, la radioattività». Eppure lo impongono la normativa nazionale ed europea. Così il Senatore Giuseppe Vacciano spiega al giornale il Caffè l’interrogazione con cui ha portato il caso Latina in Parlamento. Presentata il 5 ottobre insieme ad altri 5 colleghi, nel bailamme di notizie, vere o presunte, tra paure, mezze verità, rassicurazioni e approssimazioni, l’atto invoca chiarezza e concretezza. Ai Ministri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico, l’interrogazione chiede di colmare presto questo vuoto normativo e la conseguente carenza di sicurezza e trasparenza per la salute pubblica, che si traduce anche in un imbarazzante e farsesco rebus per gli enti ed operatori pubblici chiamati a monitorare e garantire la nostra incolumità.
REGOLE NAZIONALI BALLERINE
Quelle regole sarebbero pure previste. Peccato che oltre 22 anni non sono bastati per farle emanare. In attesa che il Governo, chissà quale e chissà quando, decida e comunichi dove verrà realizzato l’ormai mitologico deposito unico nazionale e in attesa che vengano smantellate – altro enigma – le centrali nucleari rottamate come quella di Latina, qualche certezza c’è: «Nelle linee guida per il monitoraggio della radioattività redatto da Ispra e Arpa Lazio nell’anno 2012 – si legge nell’interrogazione del Senatore Vacciano – si lamentava che: “La gestione delle reti regionali effettuata dalle singole Regioni e il coordinamento tecnico delle reti nazionali effettuato da ISPRA è previsto che siano svolti secondo direttive impartite dai due Ministeri, le quali, però, non sono state ancora emanate ai sensi del citato Decreto Legislativo 230/95”».
REGOLE EUROPEE IGNORATE
«Questa discrasia – chiarisce ancora il parlamentare di Latina -, oltre ad inficiare alla base le valutazioni ambientali per la scelta del futuro sito di stoccaggio, altera la possibilità di monitorare efficientemente la qualità dell’ambiente delle zone in cui già si stoccano, seppur in maniera “temporanea”, rifiuti radioattivi frutto dello smantellamento in loco».
Non solo: ora rischiamo pure di dover pagare multe all’Unione europea perché ancora lo Stato italiano non ha recepito la direttiva Euratom 59 del 2013. «Questa direttiva – sottolinea Vacciano – stabilisce che “gli Stati membri provvedono affinché sia adottato un programma di monitoraggio ambientale adeguato”. Ciò serve a predisporre adeguate e garanzie alla popolazione secondo tutta un serie di attività e cautele – aggiunge il Senatore -. Abbiamo chiesto ai Ministri dell’ambiente e dello sviluppo economico se ritengano opportuno procedere con la massima sollecitudine a favore del recepimento della direttiva 59/2013/Euratom entro il 6 febbraio 2018, scadenza ultima per recepirla, per evitare l’apertura dell’ennesima procedura d’infrazione europea contro l’Italia e per concedere ai cittadini italiani di avvalersi della tutela della più recente normativa europea».
CACCIA AL BUNKER RADIOATTIVO
Tutto ciò avviene mentre è in corso il tortuoso e semiserio iter per individuare un posto dove costruire il deposito unico nazionale per le scorie radioattive di tutta Italia. Qualche forma di controllo è prevista, ma «le indicazioni fornite dal Ministero dell’ambiente e della tutela del mare congiuntamente al Ministero dello sviluppo economico per la redazione del relativo rapporto ambientale richiamano i piani regionali di tutela delle acque e dell’aria, i quali – affonda Vacciano coi colleghi Molinari, Bignami, De Pietro, Simeoni e Bellot -, almeno per la Regione Lazio, sono armonizzati al solo decreto legislativo n. 156 del 2006 (il Codice dell’ambiente, ndr), testo che individua valori limite di molte sostanze inquinanti ad eccezione dei radionuclidi». Assurda mancanza già osservata l’11 settembre scorso dai tecnici ambientali della Provincia di Latina.
I DUBBI DELLA PROVINCIA DAVANTI AL GOVERNO
Nel comunicare ai due Ministeri il proprio ok alla Valutazione ambientale strategica sul Programma nazionale per la gestione del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi, hanno sottolineato che i Piani regionali per la tutela di aria e acqua e il Codice dell’ambiente considerano gli inquinanti convenzionali ma non quelli radioattivi. In pratica, esistono limiti massimi per le altre sostanze – ad esempio emesse dalle fabbriche – ma non per le emissioni radioattive in atmosfera e in acqua. Emissioni che da anni avvengono presso il sito nucleare di Borgo Sabotino e con cui bisognerà fare i conti anche nel prosieguo dello smantellamento e per il condizionamento dei rifiuti nucleari a bassa e media radioattività (fino a qualche centinaio di anni prima che perdano la carica radioattiva) che vi si trovano.
Oltre al reattore a grafite che nessuno, in nessun posto del mondo sa come smontare e mettere in sicurezza. «Aspetti poco chiari rispetto alle acque di scarico e alle emissioni in atmosfera» ha lamentato la dottoressa Nicoletta Valle in un’intervista al nostro giornale a settembre. L’auspicio adesso è che il governo provveda: Vacciano e colleghi hanno chiesto ai Ministri dell’ambiente e dello sviluppo economico di emanare le direttive ministeriali sui controlli della radioattività, invocate da Ispra e Arpa Lazio. Hanno inoltre sollecitato di chiarire definitivamente dove verrà realizzato il deposito unico nazionale. Ma ci sono le elezioni di mezzo e il tema è poco popolare.
Il deposito unico nazionale di scorie radioattive non potrà essere a Borgo Sabotino. Lo esclude la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee del sito unico (CNAPI), perché sta entro una fascia di 5 kmdal mare e nei pressi del poligono di tiro di Nettuno. Risulterebbe integralmente esclusa l’intera area del Lazio a sud di Roma per via della sismicità, degli insediamenti industriali e del contesto complessivo, con grosse vie di comunicazione e popolazione vicina.
«I costi fissi di Sogin ammontano a ben 130 milioni di euro annui, mentre nel primo semestre del 2017 ne sono stati spesi 23, a fronte di un budget annuale inizialmente previsto di 88 milioni per i lavori di decommissioning (lo smantellamento dei siti nucelari dismessi, ndr) che però anche quest’anno non ci sarà». Lo afferma Francesco Ferrante di Green Italia.
Con il 54% di “sì”, Latina è risultata l’unica area disponibile dove la maggioranza della popolazione si è detta ospitare il deposito unico nazionale di scorie radioattive, tra le 7 già nuclearizzate e sottoposte ad indagine demoscopica (Torino, Vercelli, Saluggia, Alessandria, Bosco Marengo e altri Comuni vicini, Caorso e altri Comuni, Bracciano Anguillara Sabazia, Sessa Aurunca, Matera, Rotondella e altri Comuni lucani). È l’esito del sondaggio effettuato dalla Sogin, la società statale che cura i siti nucleari dismessi, nel 2003 ha chiesto a circa 4mila residenti nelle aree italiane che ospitano siti nucleari (ex centrali atomiche e impianti connessi al ciclo del combustibile). Latina registrò meno “No, in ogni caso” di tutti: 46% a fronte del 53,1% registrato complessivo sul totale degli intervistati. Oggi cosa risponderebbe Latina? Intanto, si ritrova il deposito “temporaneo” costruito da una cordata di ditte in odore di mafia al cui leader, dopo l’arresto, la Guardia di Finanza ha confiscato lo scorso giugno un patrimonio di circa 170 milioni di euro. Non solo: dopo i lavori fatti dalla ditta in questione, il bunker presentava “fessurazioni”, stando a una gara d’appalto della Sogin che cercò un’altra ditta per lavori a regola d’arte.
Francesco Buda