Le PM10 sono particelle di diametro inferiore a 10 millesimi di millimetro: finiscono nelle vie respiratorie e portano gravi malattie, colpendo soprattutto anziani, bambini, persone con malattie cardiopolmonari croniche e affette da influenza o asma. L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) le classifica tra i cancerogeni di gruppo1, che sicuramente provocano tumori nell’uomo.
LA STRAGE SOTTILE
Sono 2 i milioni di decessi nel mondo ogni anno causati dalle Pm10, secondo l’Organizzazione mondiale di sanità (su dati del 2008). Secondo l’Agenzia europea per l’ambiente, ogni anno in Italia provoca oltre 66mila morti, più degli incidenti stradali. Una strage. Siamo uno degli Stati europei con il più alto tasso di mortalità legato al particolato. L’Ue ha elaborato strategie precise e nel 2008 una direttiva chiara con limiti alle emissioni: non più di 40 microgrammi (µg) per metro cubo di Pm10 ogni anno e non più di 50 µg al giorno, con l’obbligo di non superare tali valori più di 35 volte nell’arco dei dodici mesi. Una decisione recepita in Italia con il decreto legislativo 155 del 2010. Per adeguarsi, gli Stati membri potevano fare deroghe fino al 2015.
GOVERNI BOCCIATI
Il 2015 è lo stesso anno in cui il governo Renzi, seguendo la tradizione, ha previsto un’altra valanga di sussidi pubblici a chi produce energia “assimilata” alle rinnovabili: in particolare agli inquinanti e nocivi inceneritori e cementifici e ai cosiddetti impianti ‘bio’gas e ‘bio’metano alimentati a rifiuti non differenziati (inclusi fanghi industriali e di depurazione, plastiche, pneumatici, scarti chimici e combustibili).
Si promuove il riciclo e la sostenibilità sussidiando il business dell’immondizia non differenziata? Legambiente ha verificato che, nel 2016, un capoluogo italiano su tre ha superato il limite dei 35 giorni. Tra i capoluoghi più inquinati Frosinone, con sforamenti in 85 giorni, peggio di Milano. E così, dopo aver dato anche al Governo italiano altro tempo per fornire chiarimenti e attuare strategie valide anti-inquinamento, la Commissione europea ha inviato il parere motivato e si prepara a trascinare l’Italia a giudizio.
ULTIMATUM EUROPEO
La procedura d’infrazione riguarda 30 zone in cui si sono registrati superamenti dei limiti giornalieri delle polveri sottili: in Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Campania, Marche, Molise, Puglia, Lazio e Sicilia. I limiti annuali sono poi stati superati a Venezia, Treviso, Vicenza, Milano, Brescia, Torino, nella pianura padana lombarda e nella Valle del Sacco, ovvero a Frosinone. «Risponderemo alla lettera della Commissione europea sullo smog nelle città italiane – ha replicato il Ministro dell’ambiente, Gian Luca Galletti – illustrando nel dettaglio tutto ciò che il nostro Paese sta facendo per superare strutturalmente l’emergenza. Abbiamo già definito con le Regioni padane un accordo che sarà implementato con nuovi interventi concordati e coordinati e a livello nazionale abbiamo in atto interventi per migliorare l’efficienza energetica degli edifici privati e pubblici, quindi per ridurre le emissioni, per la mobilità sostenibile pubblica e privata, con particolare riferimento a quella elettrica e ciclabile».
E LE CENTRALI INQUINANTI?
Nulla si dice sulle costose e inquinanti centrali a metano (cosiddette “turbogas”) come quella imposta con irragionevole forza ad Aprilia – rivelatasi un mezzo fiasco finanziario – e su quelle a carbone, ancora più sporche, come quella a Civitavecchia – Torre Valdaliga. Centrali imposte nonostante rilascino polveri e benché fosse ormai ovvio che il futuro era nel fotovoltaico e nelle rinnovabili vere. Una forzatura che ora tutti ci ritroviamo sul groppone. Dopo il boom delle rinnovabili vere, i dati più recenti del GME, il Gestore del mercato elettrico italiano, mostrano un’inversione di tendenza: scende la vendita di elettricità da rinnovabili e sale quella da fonti ‘sporche’. A farla da padrone è il gas, l’ottocentesco carbone tiene. Nell’ultimo anno – spiega il bollettino di agosto del GME – la quota media nazionale delle vendite di elettricità da impianti a gas guadagna 6,3 punti percentuali e si porta al 46,6%, mentre la quota delle fonti rinnovabili scende al 37,7% (a luglio 2016 era il 40,3%). La lobby fossile, insomma, è riuscita a frenare il sorpasso che stava mettendo fuori gioco le centrali inquinanti e costose. A giugno 2014, quasi metà della corrente venduta in Italia era da fonti pulite, con il centro Italia al 36,6, ora sceso al 21,4%…. A luglio scorso rispetto allo stesso mese del 2016, nella macroarea cui appartiene il Lazio, la quota di vendite da centrali fossili si è impennata del 22,6% mentre quella delle rinnovabili è scesa del 4,8%. Il tutto, con ulteriori aumenti in bolletta. Così ci fanno pagare le scelte energetiche obsolete e antieconomiche. Non solo: si continua a fare largo alle trivelle per gas e petrolio in mare e terraferma.
9 ITALIANI SU 10 ESPOSTI
L’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, controllato dallo stesso Ministero dell’ambiente, afferma che l’89,7% della popolazione vive in Comuni considerati esposti a livelli medi annuali superiori ai valori guida per il Pm10. E specifica soprattutto che “per quanto riguarda il Pm10, non solo l’obiettivo di rispettare i livelli raccomandati dall’Oms (più severi: vedi riquadro, ndr) sembra lontanissimo, ma anche rispettare quello previsto dalla legislazione vigente è ancora difficile su tutto il territorio nazionale”.
Finora la ‘soluzione’ regalataci è stata la solita, come accaduto per tanti anni, ad esempio, con l’arsenico nelle acque potabili: la scienza indica dei limiti, ma lobby economiche e governanti traccheggiano con deroghe alzando il limite legale. E così pazienza se l’Organizzazione mondiale della sanità raccomanda nell’aria una media annuale di Pm10 non oltre i 20 microgrammi per metrocubo. Nell’Unione europea tale limite è giusto il doppio. Ma nemmeno con questa manica larga riusciamo ad essere nella legalità. Le regole sanitarie, poi, non contano proprio.
CHI CONTROLLA DAVVERO?
Il 60-70% delle Pm10 è costituito dalle Pm2,5, particelle ancora più piccole e assai più pericolose per la salute pubblica. Penetrano nel tratto inferiore dell’apparato respiratorio, fino agli alveoli polmonari, e da lì innescano processi di infiammazione a carico dei tessuti. Si accumulano nei tessuti adiposi, cioè grassi, provocando infiammazioni croniche. Eppure non vengono misurate in quanto tali: non possiamo dunque sapere, delle Pm10 rilevate, quante effettivamente sono costituite dalle 2,5. Infine, manca un meticoloso controllo sulle fonti di emissioni occasionali, ma potenzialmente pericolosissime, come nel caso dell’impianto EcoX andato a fuoco a Pomezia lo scorso 5 maggio.
Questi eventi producono nel tempo l’effetto accumulo: le particelle si sommano un po’ alla volta nell’ambiente e nel nostro organismo. Ma nessuno sembra curarsene. Infine, in tutta Italia manca una capillare rete di monitoraggio in grado di rilevare costantemente le Pm10, mentre per le Pm2,5 siamo ancora nella preistoria.
Un aiutino per ridurre le polveri killer arriva dalla finanza: le 37 banche più potenti del mondo hanno finalmente iniziato a ridurre i finanziamenti alle fonti energetiche fossili (petrolio, gas, carbone). Dai 92 miliardi di dollari (quasi 81 miliardi di euro) del 2014, questi investimenti sono scesi finanziamenti è stata di 92 miliardi di dollari, saliti a oltre 97,5 miliardi di euro nel 2015 ma poi calati a circa 76,5 miliardi di euro l’anno scorso. Invece, il più grande gruppo bancario d’Italia negli ultimi due anni ha quasi raddoppiato gli investimenti in energie inquinanti: da 554 milioni nel 2015 a 960 nel 2016. Lo riferisce il rapporto Banking on Climate Change.