Per la morte di Daniel Androne erano stati condannati in primo grado, dalla Corte d’Assise del Tribunale di Frosinone, sia l’appuntato Porcelli che il collega, il brigadiere Mario Rezza. Contro di loro tutta una serie di indizi, dalle testimonianze degli altri romeni impegnati nel tentativo di furto al rinvenimento di un bossolo, dai rapporti dei due con la “Fermar” a una serie di telefonate. Diciotto anni di carcere per omicidio volontario e proscioglimento, per intervenuta prescrizione, per l’occultamento di cadavere. Poi, il 7 marzo dell’anno scorso, per Rezza era arrivata l’assoluzione dalla Corte d’Assise d’Appello di Roma, mentre Porcelli si era visto ridurre la condanna a 14 anni di reclusione. La difesa di quest’ultimo ha impugnato la sentenza in Cassazione, sostenendo, tra l’altro, che non erano state trovate tracce sia della tentata effrazione che della sparatoria, oltre al fatto che nessun abitante nei pressi dell’azienda aveva sentito gli spari, elementi utili a dimostrare l’inattendibilità dei testimoni romeni ignorati dai giudici d’appello. Dubbi che hanno convinto gli ermellini, per i quali “occorre dare atto che a carico dell’imputato non sussisteva alcuna prova rappresentativa della sua presenza sul luogo del fatto nella notte del 5 luglio 2006”. Per la Cassazione, “un’analisi oggettiva degli elementi di prova posti a base della condanna dimostra che non sussistono plurimi indizi della presenza di Porcelli nella notte tra il 5 e il 6 luglio 2006 presso la Femar e della sua individuazione come uno degli sconosciuti che sparò, uccidendo Androne, e che l’unico indizio, la presenza di un bossolo sparato dalla sua pistola, non può considerarsi grave, avendo una spiegazione alternativa”. Inoltre, “in mancanza di prova certa degli eventi e della partecipazione ad essi dell’imputato, la formula che avrebbe dovuto essere adottata, e che viene adottata in questa sede con la pronuncia di annullamento senza rinvio, è che il fatto non sussiste”. Su quanto realmente accaduto quella notte di undici anni fa resta il mistero.
Clemente Pistilli