«Non è che la chiusura della mia libreria – spiega Piermario De Dominicis a Il Caffè – sia direttamente proporzionale alla presenza di colossi industriali del settore in città, però questo ha avuto il suo contributo. Le piccole botteghe sono per forza in perdita: le catene internazionali hanno costi minori nell’acquisto di libri perché puntano sui grandi numeri e poi hanno anche la possibilità di applicare sconti. Come si può competere?». Di storia pontina Piermario ne conserva un bel po’. Prima della chiusura della libreria “Storie” era proprietario, sempre al 50%, di un’altra piccola libreria e prima ancora è stato direttore di due diverse “case del libro” in un centro commerciale e in centro.
Giovani e anziani ricordano Piermario con la sua barba lunga ed un consiglio per ognuno. «Se la mia carriera da libraio è stata così lunga – continua – si deve a questo. Per fare questo lavoro bisogna essere appassionati del libro, perché le soddisfazioni economiche non sono abbastanza da permettersi una vita senza pensieri. Ma serve anche una competenza, altrimenti una libreria diventa un self-service». Insomma, occorre cultura e ironia per indirizzare e raddrizzare i clienti che si presentano in libreria chiedendo «“Il ritratto di Christian Dior” oppure “Narciso e Boccaccio” o “Il fu Mattia Bazar”. Una volta un cliente è venuto e mi ha detto: avete “Sogno di una notte di mezza estate”? E fin qui tutto bene. Ma poi mi fa, quello di Schindler’s List. A pensarlo non ci si riesce. Per capire il grado di conoscenza media dei latinensi basta pensare che un sacco di gente era convinta che Candido, il nome che avevo voluto dare alla libreria che dirigevo anni fa, fosse il mio nome quando era invece il nome di un racconto di Voltaire. Quando ho aperto una libreria di mia proprietà l’ho chiamata “Come un romanzo” preso da un saggio di Daniel Pennac sulla lettura. Ho detto: avranno capito. E invece mi chiamavano Candido anche là. Alla fine ho iniziato a dire “Sì mi dica?”».
Per andare oltre ai dati sempre più preoccupanti sulla lettura in Italia, nel Lazio e a Latina Piermario si è sempre rimboccato le maniche. «Sono stato tra i primi – spiega – a organizzare in libreria presentazioni di libri, mostre, concerti e salotti letterari. Nell’ultima libreria avevo messo anche un bar. In una città di provincia dove la fetta di torta di lettori è già limitata sono degli escamotage per sopravvivere». Ci prova Piermario a non avercela con i lettori, ma ci riesce poco. «Sono un po’ allergico agli addii ed ho aspettato fino all’ultimo per comunicare su Facebook della chiusura della libreria. Mi fa un po’ sorridere il riconoscimento che arriva solo ora per il lavoro fatto. Del morto si parla sempre bene e spesso chi spende le parole più commosse è l’assassino. Non tutti hanno diritto a commuoversi. Quello che dico io è: stimatemi un po’ più da vicino. È come se io piangessi la chiusura di un ristorante dove non andavo da anni ricordando quanto erano buone quelle fettuccine. Non lo farei. Ma non mi arrabbio perché ormai dovrei aver consumato – ma non del tutto – la mia scorta di meraviglia».
E ora? Cosa farà il libraio che tutti conoscono, pezzo di storia di Latina? E come farà Latina senza una bottega dove passare ore a discutere di letteratura e di interpretazioni dei finali dei romanzi? «Il libro non lo posso abbandonare. Casa mia è quella cosa che è intorno alla libreria e non c’è alcuna forza al mondo che possa allontanarmi dal libro. Questa mattina sono stato al mercatino ed ho acquistato libri. Pochi ci pensano, ma chi mi conosce lo sa: per farmi un regalo che mi fa piacere mi regalano un libro. I miei furono costretti a mandarmi a scuola un anno prima perché non tolleravo che fosse mia sorella più grande di me a leggermi i libri così iniziai la scuola a cinque anni. E da lì non ho più smesso. Per me è come respirare. Adesso non ho pensato a come riprogrammarmi anche perché sono impegnato materialmente alla chiusura della libreria. Molti mi invitano a scrivere, ma essendo un libraio so quanto sia difficile. Sono disposto a rimettermi in gioco perché continuo a sostenere – conclude – che Latina abbia bisogno di uno spazio culturale diverso da quello proposto nel nuovo millennio, ma ho bisogno di tempo per pensare a cosa fare da grande».
Dall’indagine Istat che si riferisce ai dati del 2016, è emerso che nel Lazio il 42,9% degli intervistati di età superiore ai 6 anni ha letto almeno un libro all’anno, il 45,8% da 1 a 3 libri l’anno ed il 13,9% ha letto 12 o più libri. Il dato è in linea con quello nazionale: la popolazione femminile mostra una maggiore propensione alla lettura già a partire dai 6 anni di età e leggono di più i giovani tra gli 11 e i 14 anni rispetto a tutte le altre classi di età.
Bianca Francavilla