Le falde acquifere sotto il 7° invaso della discarica di Cecchina di Albano, detta di Roncigliano, sono gravemente inquinate. A certificarlo sono le analisi dei pozzi-spia interni al sito (che il Caffè ha potuto consultare ora in esclusiva) effettuate nel corso di un sopralluogo nel gennaio scorso dall’Arpa Lazio, l’Agenzia Regionale di Protezione Ambientale.
È dal 1979 che a Roncigliano, al confine con Ardea e Pomezia, vengono sepolti i rifiuti non differenziati.
DISCARICA FUORILEGGE
I floruri, elementi chimici cancerogeni, sono risultati superiori ai limiti di legge in 6 pozzi su 9 totali, con un picco che ha sfiorato di ben 4 volte la concentrazione massima ammessa dalla legge. Mentre l’arsenico, metallo tossico e cancerogeno, ha sforato i limiti legali in 5 pozzi su 9, raggiungendo un picco di oltre una volta e mezza il limite imposto dal Testo Unico Ambientale, ovvero la legge n. 152 del 2006. Si tratta di un inquinamento “costante” e “prolungato” nel tempo: lo scrivono i tecnici dell’Arpa Lazio, l’Agenzia regionale per la protezione ambientale. Un rischio incalcolabile per la salute umana e l’ambiente, visto che la spazzatura non differenziata si trova ad appena 175 metri dalle prime case dei popolosi quartieri di Villaggio Ardeatino, ad Ardea, e a 250 metri da Roncigliano, ad Albano. Dov’erano le istituzioni quando si sollevava il problema, per esempio su questo giornale?
ANCHE CERRONI CONFERMA, FALDE INQUINATE!
Oltre ai dati inediti dell’Arpa Lazio, il Caffè ha potuto consultare anche le analisi dei pozzi spia interni alla discarica effettuate tra il 2013 ed il 2014 dal CNR IRSA, il Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto di ricerca sulle acque. Analisi eseguite, cosa singolare, su richiesta e dietro pagamento della società Pontina Ambiente srl del Gruppo Cerroni, anziché di Regione Lazio e Comune di Albano. Questi due enti pubblici da tempo sanno che l’Arpa sollecitava approfondite analisi sul sito. Nulla di fatto, però, da parte dei presunti controllori e tutori della salute pubblica e dell’ambiente. Come i famosi struzzi, hanno messo la testa sotto… l’invaso. Sta di fatto che anche le analisi commissionate dalla società di Cerroni confermano un inquinamento gravissimo delle acque sottostanti il cimitero dei rifiuti dei Castelli Romani: 52 casi certificati di sforamento. Con i floruri e alluminio che hanno raggiunto picchi di 4 volte i limiti massimi ammessi dalla normativa; il ferro quasi 3 volte e l’arsenico 2 volte e mezzo.
AMMINISTRATORI PUBBLICI MUTI
“La discarica inquina la falda? Vi sono rischi? Quali? Ed ora è tutto a posto?” A settembre 2011, subito dopo il collaudo del 7° invaso, il Caffè rivolgeva queste domande all’allora assessore delegato ai rifiuti della Provincia di Roma, Michele Civita, dal 2013 “promosso” assessore delegato ai rifiuti della Giunta Regionale, guidata dal suo (ex) Presidente provinciale Nicola Zingaretti. Domande cadute nel vuoto. La coppia da allora ha fatto il grande salto in Regione, ma di risposte e cose concrete… Il 7° invaso era in funzione da pochi giorni, dopo un collaudo fatto il 26 luglio 2011, dove la Provincia di Roma non si era nemmeno presentata. Ora finalmente, dopo 5 anni, abbiamo la risposta: la discarica inquina la falda! Perché tanti silenzi e ignavia? Eppure spiegammo – carte alla mano – che certi dubbi e timori venivano suggeriti persino dai tecnici pagati dai padroni della discarica, nelle conclusioni della relazione tecnica sulla capacità di resistere dei teli HDPE su cui poggiano i rifiuti nel settimo invaso e sulla sua effettiva impermeabilità. Domandammo più volte a Civita Michele, quando era delegato ai rifiuti alla Provincia: “Regione, Provincia di Roma e Comune di Albano vigileranno? Sarà seguito il consiglio dei tecnici?”. Silenzi finora anche dai Sindaci e dai Comuni di Ardea e Pomezia. Eppure l’inquinamento riguarda addirittura più i loro territori che quello di Albano, visto che da monte scende verso valle.
REGIONE E COMUNE LASCIANO FARE
Già a dicembre scorso, i tecnici dell’Arpa Lazio avevano certificato con una relazione tecnica esplosiva l’esistenza di 70 gravissime criticità ambientali nella gestione del sito: rifiuti indifferenziati trattati in maniera non conforme alle leggi europee, nazionali e regionali; acque di falda inquinate; assenza dei controlli obbligatori per legge della qualità dell’aria; gas che sprigiona dai rifiuti sepolti sottoterra fuori controllo, eccetera eccetera.
Per questo, il 2 febbraio l’Area Rifiuti Regionale aveva emesso una diffida di 30 giorni nei confronti della società proprietaria del sito chiedendo di “sanare entro e non oltre 30 giorni… quanto riscontrato da Arpa Lazio”. Ma poco dopo, il 20 aprile, nonostante le nuove e allarmanti analisi giunte in Regione il 28 marzo, due dirigenti della Regione Lazio, Flaminia Tosini e Maurizio Franzese, hanno concesso ai signori della discarica altri 11 mesi di tempo (180 giorni più 150) per mettersi in regola e, nel frattempo, anche di poter continuare a gestire indisturbati la discarica. Un periodo di tempo durante il quale il 7° invaso potrebbe già esaurirsi, visto e considerato lo stato di precoce esaurimento visibile dalle foto aeree scattate dal Comitato No Inc a marzo 2014 e febbraio 2015. La domanda sorge spontanea: ma perché tutta questa indulgenza?