I SOPRALLUOGHI DI ACEA SUL TERRENO
Da inizio maggio i tecnici di Acea, vale a dire del reparto ingegneristico della municipalizzata dell’acqua di Roma, hanno compiuto più di un sopralluogo sul terreno che confina con la discarica di Albano, di proprietà del patron dei rifiuti di Roma e dintorni, Manlio Cerroni. Hanno eseguito numerosi carotaggi con lo scopo di verificare la qualità dei terreni sottostanti. I tecnici sono stati incaricati di svolgere tutte le analisi preliminari propedeutiche poi all’avvio della fase di progettazione vera e propria che inizierà a breve.
L’IMPATTO IGIENICO-SANITARIO GRAVERÀ SUI CASTELLI ROMANI
I nodi nevralgici dell’operazione industriale sono tre. Il primo: il ‘termovalorizzatore’ altro non è che un impianto industriale “destinato – così ci racconta Amadio Malizia, presidente dell’associazione Salute Ambiente Albano – a incenerire rifiuti h-24 ad altissima temperatura. Quello pre-annunciato per Roma, in particolare, si ispirerà ai modelli già attivi a Copenagen e Torino. Ebbene proprio i dati di funzionamento di questi due inceneritori, facilmente consultabili su internet, dimostrano come la combustione dei rifiuti produca come residuo chimico-fisico grosse quantità di sostanze cancerogene che finiscono nei fumi in uscita dall’impianto e che contengono diossine, furani, metalli pesanti e numerose altre sostanze nocive per salute e ambiente, che poi vengono ‘sparate’ a decine di km di distanza dalla canna fumaria. Del resto la scienza – continua Malizia – ci dimostra come in natura nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma: in questo caso i rifiuti solidi si trasformano in fumi tossici. Inoltre, proprio la scienza non ha ancora costruito filtri industriali in grado di fermare totalmetne le microparticelle che sprigionano dalla combustione dei rifiuti. Eppure – aggiunge – gli studi sanitari commissionati dalla Regione nell’ambito del progetto Eras Lazio (Epidemiologia, Rifiutiu, Ambiente, Salute) sulla salute dei cittadini che vivono nel raggio di 5 km in linea d’aria dalla discarica di Albano dimostrano come in questa zona i residenti muoiono, si ammalano e si ricoverano molto più che altrove. Il Comune di Roma ha valutato tali circostanze? Ha valutato l’effetto cumulo? Chi, quando e perché ha deciso che a pagare questo prezzo debbano essere, di nuovo, i cittadini di Albano e dei Castelli, i cittadini di Ardea e Pomezia? È stata stilata una lista di possibili zone alternative a quella prescelta? Perchè non puntare invece su Porta a porta, riduzione, riciclo e riuso, anziché sulla tecnica medioevale dell’incenerimento?”.
“LE CENERI VERRANNO SEPPELLITE DENTRO LA DISCARICA DI ALBANO?”
Poi c’è il secondo nodo, ossia il ‘mistero’ – rincara la dose Ettore Ronconi, presidente del comitato UST, Uniti per la Salvaguardia del Territorio – delle ceneri che residuano dall’incenerimento, che costituiscono un rifiuto speciale da smaltire in apposite discariche, che saranno pari ad un terzo dei rifiuti bruciati, ossia 200mila tonnellate l’anno. Il dubbio, da parte nostra, è più che legittimo: verranno smaltite nella vicinissima discarica di Albano, situata a circa 700 metri di distanza, riconducibile al grande imprenditore del settore, Manlio Cerroni? La quantità di ceneri prodotte ogni 24 mesi dovrà riempire una buca grande quanto 2 campi di calcio di serie A e profonda 30 metri. Allora, dove finirà questa enorme mole di materiale altamente tossico? Perchè Gualtieri non ce lo spiega? Inoltre è da tempo che proponiamo che questa area, in un raggio di 10 km dalla discarica di Albano , venga bonificata, con l’interdizione perpetua alla costruzione di nuovi impianti a rifiuti, e sostenuta in una rinascita ambientale e di sviluppo ecosostenibile per le nuove generazioni, ma nessuno ci risponde.”
IL TECNICO: “L’USO COSPICUO DI MATERIE PRIME: METANO E… ACQUA!”
Poi c’è il terzo nodo: “Per mantenere h-24 le altissime temperature di combustione, pari a ben oltre i 1000 gradi, l’inceneritore – ci spiega Giacomo Castro, presidente dell’associazione Latium Vetus, di professione ingegnere – dovrà necessariamente utilizzare grandi quantità di metano, in un’epoca in cui il gas non è esattamente facile da trovare, qualcuno si è posto questo problema? Per raffreddare l’impianto, inoltre, servirà anche una grossa quantità di acqua. In epoca di cambiamenti climatici, in cui piove e nevica sempre meno e l’oro blu è divenuto un bene raro e prezioso, la scelta di sprecare acqua potabile per raffreddare un impianto industriale è una scelta decisamente poco sostenibile, dal punto di vista ambientale, e decisamente poco etica, dal putno di vista politico, a maggior ragione visto e considerato che varie aree di Ardea e Pomezia ancora non sono nemmeno raggiunte da un acquedotto”. Le domande ora ci sono, attendiamo le risposte.
INCENERITORE, PER CHI SA SOLO BRUCIARE
di Alberico Cecchini
Viene presentato come la soluzione di tutti i problemi, in realtà l’inceneritore è il monumento all’incapacità della politica romana di servire il bene pubblico, condannando la Capitale ad andare sempre più indietro rispetto alle altre capitali europee. Chiamiamolo inceneritore per cortesia, perché la bufala del ‘termovalorizzatore’ è ridicola come la l’operazione speciale di Putin. I rifiuti se si bruciano non si valorizzano. E bruciare centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti ad oltre 1.000 gradi genera micro particelle tossiche che nessun filtro riesce a bloccare e neanche i polmoni, tanto che raggiungono il sangue direttamente e continuamente per entrare quindi dove non dovrebbero mai arrivare, cioè in tutti gli organi vitali. Con quali effetti a lungo termine? Quali studi ci possono dimostrare scientificamente che non c’è nessun rischio? La questione vera non è sul dove fare l’inceneritore, il punto è sulla sua effettiva necessità. Se l’emergenza rifiuti è continua è chiaro che serve costruirlo. Ma perché c’è questa emergenza continua? Questa è la domanda da farsi. La soluzione non può consistere nel nascondere il danno creando un danno ancora maggiore per la salute umana. La produzione esagerata di rifiuti indifferenziati è il problema che va risolto. Sono almeno 30 anni che la soluzione davvero sostenibile è stata individuata nella differenziata porta a porta con riciclo ‘vero’ dei materiali. Perché Roma è solo al 43% di differenziata quando moltissime città europee e del Nord Italia sono quasi al doppio? Perché bruciare è un bel business, l’impianto previsto a Santa Palomba dovrebbe costare 700 milioni, che poi potrebbero diventare oltre 1 miliardo, come succede di solito per i grandi appalti. Inoltre ci vorranno anni prima che entri in funzione, mentre in pochi mesi si potrebbe potenziare la differenziata per abbattere drasticamente la quantità da bruciare. Ultimo punto, ma anche il più pericoloso: come possiamo fidarci dei controlli visto che, per esempio, nell’impianto di Colleferro è stato accertato a posteriori che veniva bruciato di tutto anche materiali tossici e altamente nocivi? Quello è un altro business immenso e appetibile, non a caso da sempre gestito dalle mafie.