«La paternità è un diritto universale. Invece a me viene riconosciuta nelle Filippine sì, e in Italia no». A parlare è Renato, 51 anni di cui 30 vissuti a Latina, papà del piccolo Emilio che ora ha poco più di un anno. Il suo bambino è nato nelle Filippine da una donna che gli ha fatto perdere la testa durante un viaggio con un suo amico: Analiza. Purtroppo, pochi mesi dopo la nascita, i genitori si sono accorti che Emilio non respirava bene ed aveva una cianosi alle labbra e alle dita. Da un controllo è emerso che aveva una grave e particolare forma di cardiopatia congenita che, senza un urgente intervento al cuore, avrebbe causato la morte. Da lì è iniziato il calvario per Renato, ricercatore precario che avrebbe voluto trasferirsi nelle Filippine per aprire un laboratorio. Il destino lo ha costretto a tornare in Italia per tentare in tutti i modi di racimolare la somma necessaria per il delicato intervento chirurgico: 24mila euro. Già, perché nelle Filippine è necessario pagare per essere sottoposti ad un’operazione. Grazie all’interessamento delle Iene al caso sono stati trovati i soldi perché il bambino venisse sottoposto all’intervento e perché il papà ed un medico di Milano restassero nelle Filippine durante il mese di ricovero. Purtroppo, però, il lieto fine nella storia è ancora lontano. Sebbene lo scalino più importante sia stato superato, Emilio ha bisogno di costanti cure perché non ci siano conseguenze al delicato intervento al quale è stato sottoposto. Senza appositi farmaci, infatti, potrebbe crearsi un’infezione e la vita di Emilio tornare di nuovo a rischio. «Io invio tutto il poco che guadagno nelle Filippine – spiega il papà – perché Emilio possa curarsi, mangio alla Caritas e durante tutta la giornata non faccio altro che cercare un modo perché qualcuno possa aiutarmi. Ma se la burocrazia non è dalla mia parte, tutto questo non basta». Renato, infatti, porta con sé una valigetta con una serie di fogli e documenti dell’Ambasciata Italiana, del Comune di Latina, delle Filippine. Si sta muovendo affinché suo figlio possa tornare in Italia ed essere sottoposto alle cure della sanità pubblica. Secondo quanto spiega a Il Caffè ha già preso contatti con l’ospedale Bambin Gesù. Per un vizio di forma, però, non riesce a far avere a suo figlio il passaporto italiano. L’inghippo – probabilmente – sta nel fatto che la sua compagna era già sposata nelle Filippine con un uomo di cui non ci sarebbero più tracce da 12 anni ma che per la legge che non prevede divorzio resta il marito. Qualora l’uomo volesse denunciarla per adulterio – dunque – lei finirebbe in galera, come prevede il regime vigente. Il paradosso sta nel fatto che il bambino ha il cognome di Renato e che nelle Filippine hanno rilasciato il certificato di paternità a Renato. È solo l’Italia a mettere i bastoni tra le ruote alla famiglia di Renato non trascrivendolo e non spiegando il perché. L’ennesima porta chiusa in faccia è arrivata dall’ufficio anagrafe di Latina a cui Renato si era rivolto perché la registrazione dell’atto di nascita venisse trascritta, pratica che si può fare nel Comune di residenza di uno dei due genitori. «Senza il certificato di paternità e di conseguenza il passaporto mio figlio non può tornare in Italia ed io non posso ricominciare a dormire la notte. Sarebbe l’unico modo per sottoporlo a cure gratuite e funzionerebbe da “assicurazione”. Le condizioni di salute di Emilio, infatti, potrebbero aggravarsi da un momento all’altro. Qualora avesse una ricaduta, senza passaporto non potrebbe nemmeno salire su un aereo e fare rientro in Italia. Io come potrei trovare in poche ore la somma necessaria per farlo operare nelle Filippine?».
14/10/2015