Latina, seconda città del Lazio, succursale dell’università La Sapienza che attrae fuorisede da tutta la provincia, non è in grado di assicurare ai suoi ragazzi uno spazio a loro dedicato.
La storia della biblioteca comunale sembra la copia sbiadita di quanto accaduto con il teatro d’Annunzio: chiusa tra continui rimpalli e ritardi. Chi ci ha rimesso da questa situazione sono gli studenti che sono stati privati di un bene pubblico come la biblioteca.
Andrea Chiarato, consigliere comunale di Fratelli d’Italia e presidente della commissione Trasparenza del Comune di Latina sul tema biblioteca ha convocato gli assessori Pietro Caschera e Laura Pazienti. Quest’ultima ha preferito non partecipare. «Uno sgarbo istituzionale – sentenzia Chiarato -, bisognerebbe perlomeno dare una motivazione dell’assenza, è una questione di cortesia. Lei non fece pervenire nessuna comunicazione, semplicemente non si presentò. Ritengo sia una presa di posizione perché non voleva finire nel tritacarne mediatico, credendo di non avere responsabilità. Mi piace ricordare che se fai parte di una giunta devi prenderti oneri e onori».
La storia
Estate 2019, iniziano i lavori da 425 mila euro, ma ci si accorge che manca la certificazione antincendi, per cui si dispongono nuovi lavori da 140 mila euro. Il culmine viene raggiunto con le dimissioni del Direttore dei Lavori Fabio Scalzi nel maggio 2022, e quindi con la necessità di reperire qualcun altro che possa terminare i lavori. «La ditta appaltatrice si vede che non era abbastanza seria – continua Chiarato -. È un déjà-vu che ci porterà all’immobilismo per un altro anno e se continua così la biblioteca non riaprirà mai. Senza tralasciare la pandemia e adesso il rincaro delle materie prime, che hanno inciso sui ritardi, la biblioteca è finita fuori dai circuiti regionali del Lazio».
Insieme alla collega Patrizia Fanti, spiega Chiarato, aveva protocollato la richiesta di un sopralluogo all’interno della biblioteca, del teatro e della Banca d’Italia, rivendicando il diritto come consigliere comunale a visionare gli stati della proprietà del Comune. «Non ho ricevuto risposta, ho inviato più di un sollecito indirizzato agli assessori competenti. Inoltre, sono rimasto sorpreso. Un mese fa è uscito sul quotidiano Latina Oggi che erano entrati dentro il teatro scattando foto e riprese. Al consigliere comunale che è un suo diritto non è stato possibile accedere ai locali del Comune e a qualcun altro invece è stato permesso di farlo».
Ma le problematiche, rivela Chiarato, non sono successe solo per l’accesso a questi edifici, ma anche per l’accesso agli atti. «Quando facevo le richieste passavano uno-due mesi prima di ricevere una risposta. Tutto questo va contro i regolamenti dello statuto del consiglio comunale. È bene ricordare che bisognerebbe aver rispetto anche dell’opposizione. Si parla di andare avanti insieme, ma non è possibile».

L’alternativa
Come alternativa sono stati usati circoli come centri studio «Siccome non volevano dire che la biblioteca non sarebbe stata riaperta entro la fine dell’anno – continua Chiarato -, hanno cercato di aggirare il problema proponendo a diversi circoli un interscambio di servizi. Ad esempio, nel caso dei centri anziani, aiutarli con la digitalizzazione e loro in cambio gli avrebbero procurato degli spazi per studiare. Personalmente non la ritengo una soluzione accettabile. Accettabile sarebbe stato riaprire la biblioteca, vero luogo di aggregazione per i ragazzi, invece di spargerli un po’ da una parte e un po’ dall’altra. Sarebbe curioso vedere quanti ragazzi sono effettivamente andati in questi centri alternativi».
Ci si domanda che fine abbia fatto parte della cultura a Latina. «La cultura in questa città è morta da anni – dice Chiarato -. Ancora più grave è che leviamo una risorsa come la biblioteca perché non è solo un luogo dove vai a prendere i libri, ma un punto di incontro dove i giovani si riuniscono per studiare e per scambiarsi idee. Anche per quanto riguarda il teatro D’Annunzio, quando cominciarono i lavori, la mano destra non sapeva quello che faceva la sinistra con il risultato che il teatro è ancora interdetto dopo sei anni. Si dicono tante belle parole ma la realtà dei fatti è che non si finisce un’opera in tempi ragionevoli. Se in sei anni una qualsiasi azienda privata non riuscisse a finire del lavori, fallirebbe».