Quella del 10 febbraio scorso è solo l’ultima di una lunga serie di inchieste giudiziarie che negli ultimi 13 anni hanno coinvolto il Comune e la città di Pomezia.
La prima, la più estesa, la madre di tutte le inchieste, si aprì nell’estate del 2001: la cosiddetta Tangentopoli pometina. Sebbene la giunta e l’intero consiglio comunale dell’epoca si fossero dimessi da circa un mese, i carabinieri del gruppo di Frascati, i colleghi di Pomezia e la Procura della Repubblica di Roma decapitarono quasi un’intera classe dirigente. Oltre trenta le persone indagate a vario titolo tra sindaco, assessori consiglieri e imprenditori per presunta corruzione. Un’inchiesta che, a parte qualche patteggiamento, alcune assoluzioni e una condanna col rito abbreviato, si chiuse definitivamente nel 2009 con la prescrizione per tutti gli imputati (tranne uno che invece venne assolto ndr) coinvolti in un processo andato avanti per troppo tempo. Una sconfitta per lo Stato e la giustizia che non erano stati in grado di giudicare in tempi certi le colpe dei responsabili e i vizi di un sistema che, in realtà, da allora non ha mai smesso di infiltrarsi nella politica e nella gestione della cosa pubblica, anche attraverso un paio di dirigenti. Con forti e gravi ripercussioni sulla città, sulla mancata soluzione dei tantissimi problemi dei cittadini e soprattutto sulle casse municipali, seriamente compromesse. La mancata risposta dello Stato ha alimentato, almeno a Pomezia, la percezione nella classe politica di sentirsi intoccabile, di poter godere di un’impunità quasi totale e costante. Nulla di più sbagliato, come hanno invece dimostrato le inchieste che, affidate questa volta alla Procura della Repubblica di Velletri, si sono succedute dal 2008 fino al 10 febbraio scorso.
Dopo il terremoto di Tangentopoli, la magistratura punta di nuovo i riflettori sulla politica di Pomezia nel 2008. Vengono arrestati i consiglieri comunali Alessandro Tucci, Claudio Libertino, il dirigente dell’avvocatura municipale Giovanni Pascone (condannati in primo grado a un anno e quattro mesi) gli assessori Fabio Mirimich e Enrico Giordani (la loro posizione viene poi archiviata).Tentata concussione per la gestione degli impianti sportivi del college universitario Selva dei Pini. Trascorrono appena tre anni e a novembre 2011 gli arresti scattano per la dirigente all’Urbanistica, Anna Ferrazzano, per un tecnico comunale, per un imprenditore romano e per due geometri pometini. Le indagini, condotte dalla Guardia di finanza e coordinate dal pm della Procura di Velletri, Giuseppe Travaglini, ipotizzano una presunta tangente di ventimila euro versata dal costruttore capitolino alla dirigente per riuscire ad ottenere il cambio di destinazione d’uso per un terreno sul quale poi realizzare alcune villette a schiera. Passano appena tre mesi – è febbraio 2012 – e Pomezia è di nuovo sotto i riflettori della cronaca giudiziaria. Questa volta le manette in flagranza di reato, in pieno giorno e davanti ai cittadini scattano per il consigliere comunale Renzo Antonini. Sono i carabinieri del Nucleo operativo ecologico, diretti dal capitano Pietro Rajola Pescarini e coordinati dal colonnello “Ultimo”, a condurre le indagini. Per gli investigatori Antonini riceverebbe regolarmente presunte mazzette da almeno 5 anni. I militari lo pizzicano mentre intasca 2.500 euro in contanti da una cooperativa di pulizie come anticipo per un appalto all’interno della Fiorucci (l’azienda alimentare di Pomezia ignara di tutto ndr) che Antonini in qualità di sindacalista avrebbe garantito alla ditta di pulizie. Concussione e estorsione sono le ipotesi di reato che tuttavia Antonini respinge al mittente, spiegando che quel denaro era solo un regalo. A dicembre 2012 una nuova bufera giudiziaria scuote il Comune di Pomezia. Il capogruppo Pd, Fabio Mirimich, viene arrestato dalla Guardia di finanza insieme ad un tecnico dell’ufficio Urbanistica del Municipio e ad un imprenditore. Corruzione e falso in atto pubblico sono le ipotesi di reato. Secondo gli investigatori su un’area destinata a verde pubblico era stato presentato un progetto per la realizzazione di una palazzina oltre le volumetrie previste. Dalle perquisizioni era poi saltata fuori una lettera di incarico firmata dal costruttore romano a favore dello studio di architettura di Mirimich, all’epoca consigliere comunale. Quasi un anno fa – a marzo 2013 – nuovi guai giudiziari per la dirigente all’Urbanistica, Anna Ferrazzano. I carabinieri della compagnia di Pomezia su delega della Procura di Velletri, arrestano la Ferrazzano insieme a un architetto romano, mentre la collaboratrice del professionista e la dipendente dell’ufficio Edilizia privata del Comune sono sottoposte all’obbligo di dimora. Soppressione e occultamento di atti veri, falsità ideologica commessa da ufficiali pubblici in atti pubblici, sono le ipotesi di reato contestate. Secondo gli investigatori, gli indagati avrebbero prodotto una falsa proposta di delibera su un piano particolareggiato in variante al piano regolatore di Pomezia centro, sostituito a quello elaborato originariamente. Tutto sarebbe avvenuto prima che il consiglio comunale potesse deliberare in modo che venisse approvato il testo sostituito e non quello originale. In questo modo il consiglio avrebbe approvato una versione del piano particolareggiato che permetteva l’edificabilità di circa diecimila metri cubi di edilizia privata.