«Circa 3.000 donne si sono rivolte al centro dal 2005 ad oggi; l’85% dichiara di aver subìto violenza tra le mura domestiche” – spiega Carla Centioni -. Ho letto la legge sul femminicidio, sono stati accolti alcuni emendamenti proposti dai Centri Antiviolenza, ma la donna non è tutelata; se non si stanziano fondi sufficienti per aprire centri-antiviolenza, penso che non c’è una volontà politica di risolvere il problema. Inoltre un altro punto che ci trova in disaccordo è non aver dato alla donna la possibilità di revocare la denuncia; la legge la pone nuovamente nell’impossibilità di autodeterminarsi».
È doveroso chiedersi perché le donne non denunciano, oppure dopo qualche tempo revocano la denuncia o tornano con l’uomo violento. Le donne costrette a fuggire dalla casa coniugale hanno bisogno di un sostegno, invece aspettano anche 5 anni per la prima udienza in tribunale. Manca una legge regionale che preveda le semiautonomie, per cui una volta uscite dai Centri di accoglienza, dove hanno trascorso 5 mesi, devono affrontare da sole lavoro, casa e figli. La necessità, sottolineata attraverso la proposta di Legge dal Consigliere Lupi, di fare Rete (Volontà espressa anche nella Asl Roma H, sottolinea Carla Oliva “con corsi sullo stalking e la violenza”) e sottoscrivere Protocolli, con procedure scritte che coinvolgano consultori, associazioni, centri antiviolenza, servizi sociali, forze dell’ordine. «Mi sembra essenziale – continua la Centioni per contrastare il fenomeno della violenza. A mio parere sia la legge Nazionale sia quella Regionale sono Leggi di “principio” che mettono d’accordo tutti, ma che rimangono vaghe se consideriamo che per mancanza di fondi il Centro Antiviolenza di Viterbo è chiuso, il Centro di Latina rischia di chiudere, il Centro La Ginestra di Valmontone non si sa che fine farà».