Cimentarsi con la storia della Provincia di Latina e del suo capoluogo dovrebbe essere impresa relativamente facile, dato che sono passati meno di 82 anni dalla sua istituzione. Eppure ci sono ancora oggi molti passaggi che, nonostante l’evidenza e l’importanza culturale che rappresentano, restano completamente sconosciuti ai cittadini. Uno di questi è il 7 aprile 1946, quando si svolsero le prime elezioni libere nella ex Littoria, la città simbolo del fascismo da poco rinominata Latina in memoria dell’antico popolo che vi risiedeva in epoca pre-romana.
La popolazione del capoluogo pontino, soprattutto quella residente nei borghi e nelle campagne, era ancora sconvolta dalla seconda guerra mondiale. Soprattutto le famiglie coloniche provenienti dal nord Italia, che in Agro Pontino si erano appena riprese dalle sofferenze patite con la prima guerra mondiale, si ritrovarono con la maggior parte dei poderi danneggiati o distrutti. Erano gli stessi poderi che quelle famiglie si erano impegnate a riscattare dall’Opera Nazionale Combattenti (ONC) e quindi si erano ritrovate indebitate fino al collo, proprio mentre scoppiava il nuovo conflitto bellico. In quei contratti tra l’altro, all’articolo n. 22, era scritto a chiare lettere che una delle condizioni per non perdere il diritto al riscatto del podere era quella di non essere espulsi dal Partito Nazionale Fascista. Sarebbe il caso che ci si ricordasse per sempre di questa semplice quanto iniqua clausola coercitiva quando si dice che “Latina è sempre stata di destra”.
Con la guerra l’intera economia locale, costata enormi sacrifici, era stata distrutta. Come ci ricordano in una dettagliata ricostruzione storica Emilio Drudi e Pier Giacomo Sottoriva, praticamente non esistevano più le città di Aprilia e Cisterna nel nord della Provincia e Castelforte, Itri e Spigno Saturnia nel sud pontino.
Soprattutto il settore agricolo era sconvolto. I campi non si potevano lavorare perché i terreni erano stati di nuovo in parte impaludati, mentre quelli rimasti asciutti erano pieni di bombe inesplose. Mancavano i macchinari e gli attrezzi, il bestiame da traino era stato razziato o abbattuto e quasi tutto il seme disponibile prendeva la strada del mercato nero. Ma soprattutto moltissime famiglie si ritrovarono con la forza lavoro ridotta, in qualche caso dimezzata e persino annullata, a causa del fatto che molti uomini non erano mai tornati dal fronte. Toccò alle donne e agli anziani, come purtroppo accade in ogni guerra, ricominciare tutto daccapo. La stragrande maggioranza della popolazione ce l’aveva a morte sia con il regime fascista (identificato in particolare con i funzionari dell’ONC) che con il Re Vittorio Emanuele III: cioè con colui che con le sue scelte aveva instaurato al governo il Duce e la dittatura per poi scapparsene alla fine a Brindisi con il suo fido Pietro Badoglio, dopo l’8 settembre 1943. Per questo anche a Latina, come già avvenuto nelle settimane precedenti in altri Comuni, le elezioni del 7 aprile 1946 (quando per la prima volta votarono anche le donne), furono vinte dal Partito Repubblicano Italiano, che ottenne il 37,4% dei voti e 16 seggi in Consiglio comunale. Particolarmente significativo fu il dato dei borghi dove il PRI ottenne il 10% dei consensi in più rispetto alla zona urbana del Comune. Al secondo posto finì la Democrazia Cristiana con 32,4% dei voti (13 seggi), seguita dalle Sinistre coalizzate (PCI e PSI) con 20,2% e 8 seggi. Chiudevano i Liberali con il 8,1% (3 seggi) e il Partito dell’Uomo Qualunque con il 1,9% e nessun seggio. Si formò così un Giunta di centro-sinistra che elesse Sindaco il repubblicano Fernando Bassoli: era un ragioniere dirigente della Cooperativa Braccianti e Muratori di Carpi, sua città natale, che aveva partecipato alla costruzione di alcuni edifici di fondazione della città.
La popolazione del capoluogo pontino, soprattutto quella residente nei borghi e nelle campagne, era ancora sconvolta dalla seconda guerra mondiale. Soprattutto le famiglie coloniche provenienti dal nord Italia, che in Agro Pontino si erano appena riprese dalle sofferenze patite con la prima guerra mondiale, si ritrovarono con la maggior parte dei poderi danneggiati o distrutti. Erano gli stessi poderi che quelle famiglie si erano impegnate a riscattare dall’Opera Nazionale Combattenti (ONC) e quindi si erano ritrovate indebitate fino al collo, proprio mentre scoppiava il nuovo conflitto bellico. In quei contratti tra l’altro, all’articolo n. 22, era scritto a chiare lettere che una delle condizioni per non perdere il diritto al riscatto del podere era quella di non essere espulsi dal Partito Nazionale Fascista. Sarebbe il caso che ci si ricordasse per sempre di questa semplice quanto iniqua clausola coercitiva quando si dice che “Latina è sempre stata di destra”.
Con la guerra l’intera economia locale, costata enormi sacrifici, era stata distrutta. Come ci ricordano in una dettagliata ricostruzione storica Emilio Drudi e Pier Giacomo Sottoriva, praticamente non esistevano più le città di Aprilia e Cisterna nel nord della Provincia e Castelforte, Itri e Spigno Saturnia nel sud pontino.
Soprattutto il settore agricolo era sconvolto. I campi non si potevano lavorare perché i terreni erano stati di nuovo in parte impaludati, mentre quelli rimasti asciutti erano pieni di bombe inesplose. Mancavano i macchinari e gli attrezzi, il bestiame da traino era stato razziato o abbattuto e quasi tutto il seme disponibile prendeva la strada del mercato nero. Ma soprattutto moltissime famiglie si ritrovarono con la forza lavoro ridotta, in qualche caso dimezzata e persino annullata, a causa del fatto che molti uomini non erano mai tornati dal fronte. Toccò alle donne e agli anziani, come purtroppo accade in ogni guerra, ricominciare tutto daccapo. La stragrande maggioranza della popolazione ce l’aveva a morte sia con il regime fascista (identificato in particolare con i funzionari dell’ONC) che con il Re Vittorio Emanuele III: cioè con colui che con le sue scelte aveva instaurato al governo il Duce e la dittatura per poi scapparsene alla fine a Brindisi con il suo fido Pietro Badoglio, dopo l’8 settembre 1943. Per questo anche a Latina, come già avvenuto nelle settimane precedenti in altri Comuni, le elezioni del 7 aprile 1946 (quando per la prima volta votarono anche le donne), furono vinte dal Partito Repubblicano Italiano, che ottenne il 37,4% dei voti e 16 seggi in Consiglio comunale. Particolarmente significativo fu il dato dei borghi dove il PRI ottenne il 10% dei consensi in più rispetto alla zona urbana del Comune. Al secondo posto finì la Democrazia Cristiana con 32,4% dei voti (13 seggi), seguita dalle Sinistre coalizzate (PCI e PSI) con 20,2% e 8 seggi. Chiudevano i Liberali con il 8,1% (3 seggi) e il Partito dell’Uomo Qualunque con il 1,9% e nessun seggio. Si formò così un Giunta di centro-sinistra che elesse Sindaco il repubblicano Fernando Bassoli: era un ragioniere dirigente della Cooperativa Braccianti e Muratori di Carpi, sua città natale, che aveva partecipato alla costruzione di alcuni edifici di fondazione della città.
06/04/2016