La vicenda è quella legata alla riconversione urbanistica della “Idea linea luce Srl” (la “Uno Light”) di via Pontina Vecchia, da fabbrica di lampadari a centro ricettivo. Secondo l’accusa, i politici avrebbero favorito, in cambio di denaro, la trasformazione del sito, salutata due anni e mezzo fa come un’occasione di crescita e sviluppo per il territorio rutulo, sia in termini occupazionali che per la realizzazione di una serie di servizi utili per la collettività e per un rilancio commerciale. «Per quanto riguarda i miei assistiti – spiega l’avvocato Giammarco Di Raimo, che difende Massimiliano Giordani e Fabrizio Acquarelli – vengono solamente citati in un’intercettazione telefonica da una terza persona che non figura tra gli imputati. È una vicenda complessa che dovrà essere valutata in ogni singolo aspetto». Occorrerà quindi attendere ancora altri sette mesi e mezzo per sapere se si aprirà un nuovo processo che vede coinvolti personaggi della politica di Ardea, dopo quello (ancora in corso) legato all’operazione “Necropolis” relativa al cimitero di via Strampelli che vede coinvolti ancora Di Fiori e Petricca, insieme ad altre nove persone.
LE INDAGINI SULLA RICONVERSIONE DELLA FABBRICA – L’indagine che ha portato in tribunale (per l’ennesima volta) degli amministratori di Ardea era stata avviata dalla Guardia di finanza di Pomezia alla fine del 2013, all’indomani dell’approvazione da parte del Consiglio comunale, il 30 ottobre, della delibera contenente il programma integrato per la riconversione urbanistico-edilizia del complesso industriale della “Società Idea linea luce srl”: un progetto (da 4,5 milioni di euro), che prevedeva la trasformazione della fabbrica di apparecchiature per illuminazione in un centro ricettivo, con sale giochi, ristoranti, attività commerciali e una multisala cinematografica. A novembre dello stesso anno, le Fiamme gialle pometine avevano sequestrato negli uffici comunali di Ardea, la documentazione relativa alla richiesta del cambio di destinazione d’uso dell’area, da industriale a commerciale, all’epoca necessaria – tra l’altro – anche per salvare oltre 50 posti di lavoro dei dipendenti della fabbrica messi in cassa integrazione (e poi inseriti in una procedura di licenziamento collettivo) per le difficoltà lavorative dell’azienda.