La città della porchetta si trova al centro di una complessa vicenda urbanistica che potrebbe culminare con la demolizione di una villa privata.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha respinto nei giorni scorsi il ricorso contro il diniego del Comune di Ariccia di regolarizzare un immobile.
Il ricorso è stato presentato dal proprietario dell’immobile stesso, un noto imprenditore del settore commerciale ariccino.
Da ex chiesa di Ariccia (con maxi abuso) a villa privata
L’immobile, un tempo luogo di culto, sarebbe stato ampliato abusivamente (secondo il Comune di Ariccia) sul finire degli anni ’90.
Ora dopo ben 25 anni di battaglie legali potrebbe essere demolito, se il municipio confermerà la sua linea dura e farà seguire alla sentenza del Tar la conseguente ordinanza di demolizione.
La storia della chiesa inizia nel 1999
Tutto inizia nel 1999, quando un sopralluogo comunale rivela che l’immobile, destinato originariamente a uso agricolo, era stato trasformato senza autorizzazione in un luogo di culto.
La struttura aveva subito modifiche radicali: un ampliamento del seminterrato trasformato in piano terra di 215 metri quadrati, un nuovo piano sottotetto di 102 metri quadrati, e un aumento complessivo di volume pari a 1.570 metri cubi.
Tali interventi avevano comportato un completo stravolgimento dell’edificio e delle sue destinazioni d’uso.
L’azione del Comune di Ariccia
Di fronte all’abuso edilizio, il Comune di Ariccia aveva emesso un’ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi già nel 1999. Gli allora proprietari avevano impugnato il provvedimento comunale davanti al TAR del Lazio, che però rigettò il ricorso.
Successivamente, un ulteriore appello al Consiglio di Stato fu dichiarato estinto, consolidando la legittimità dell’azione comunale.
Nonostante ciò, i proprietari tentarono di regolarizzare l’immobile attraverso un’istanza di fiscalizzazione (trasformazione dell’abuso in una ‘multa’), ma anche questa richiesta venne respinta.
Le motivazioni del diniego
Secondo il Comune di Ariccia, le opere realizzate non potevano essere considerate una semplice ristrutturazione edilizia, bensì una nuova edificazione.
Le trasformazioni avevano alterato significativamente la sagoma e la destinazione d’uso dell’edificio, configurando un aumento di superficie e volume che richiedeva un permesso di costruire.
Inoltre, l’immobile non rispettava le norme urbanistiche che qualificano l’area come agricola.
Nel 2018, il Comune ha respinto l’attuale richiesta del nuovo proprietario dell’immobile di regolarizzare gli abusi considerandoli parte di una ristrutturazione straordinaria dell’immobile stesso.
La sentenza del Tribunale
Pochi giorni fa, il Tar Lazio ha esaminato il ricorso dei proprietari del 2018 contro il diniego comunale.
Il Tribunale ha confermato la validità dell’azione amministrativa, sottolineando l’assenza della cosiddetta “doppia conformità”, necessaria per sanare un abuso edilizio.
Questa conformità richiede che l’opera sia compatibile sia con le norme urbanistiche vigenti al momento della costruzione, sia con quelle in essere al momento della richiesta di sanatoria. Nel caso specifico, l’immobile non rispetta alcuna delle due condizioni.
Il Tar ha inoltre evidenziato che la fiscalizzazione (ossia il pagamento di una ‘multa’ in cambio di una sorta di ‘sanatoria’) è possibile solo per irregolarità formali o quando la demolizione è materialmente impossibile, condizioni non presenti in questo caso.
L’incremento volumetrico e la trasformazione radicale dell’edificio rendono quindi impossibile ogni forma di sanatoria.
Con il rigetto del ricorso, si apre ora la strada per un possibile intervento del Comune di Ariccia, che potrebbe ordinare la demolizione dell’immobile.
Nella vocenda giudiziaria il proprietario avrebbe comunque ancora due ‘carte’ da giocare. Può infatti presentare ricorso al Consiglio di Stato contro la recente decisione del Tar, oppure attendere l’ordinanza di demolizione e fare un nuovo ricorso al Tar.
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