Più che una proposta, al momento, sembra essere una provocazione, soprattutto vista la caotica situazione del traffico romano.
La possibilità di imporre il limite di velocità a 30 chilometri orari per le vie del centro di Roma torna di attualità a causa di Bologna.
Nella città emiliana, infatti, è passato un anno da quando l’amministrazione bolognese ha imposto il limite di velocità a 30 Km/h in gran parte del centro storico, ad esclusione di alcune arterie principale che hanno limiti superiori.
Dopo un anno, ora è arrivato il primo bilancio. Come è andata l’esperienza?
I risultati sono molto al di sopra delle attese dei sostenitori dell’iniziativa.
Zona 30: meno incidenti, meno gravi e zero pedoni morti
Innanzitutto il dato più eclatante: per la prima volta da quando ci sono le rilevazioni ufficiali (1991) non si è registrata la morte di alcun pedone.
I morti in incidenti stradali sono diminuiti del 50%. È calato anche il numero degli incidenti stradale (-13%) e dei feriti (-11%), tra cui i pedoni (-16%). Gli incidenti considerati gravi, cioè quelli in cui si è registrato un “codice rosso”, sono diminuiti del 31%.
Già questi numeri dimostrano che la diminuzione del limite di velocità comporta una leggera diminuzione degli incidenti, ma soprattutto una enorme diminuzione della gravità delle conseguenze degli stessi.
L’equivalenza è chiara: meno velocità = meno pericolo.
Zona 30: più ambiente e salute
Con l’arrivo della grande Zona 30 a Bologna per la prima volta è calato il traffico veicolare (-5%) e l’inquinamento legato al traffico ha fatto segnare circa il 30% in meno di agenti inquinanti.
Sono aumentati gli spostamenti in bicicletta (+10%), ma soprattutto quelli sui mezzi pubblici metropolitani: nell’area urbana si è registrato un +31%.
Un vero e proprio boom hanno fatto registrare il bike sharing (+69%) e il car sharing (+44%).
L’aria è diventata più pulita, con un calo del 30% del biossido di azoto. E miglioramenti sensibili ci sono stati anche in fatto di inquinamento acustico.
Roma come Bologna?
La domanda a questo punto è scontata: “I romani sarebbero capaci di accettare una così importante rivoluzione sulla viabilità?”.
Roma non è certo Bologna, sia per dimensioni che per cultura. Le due città hanno enormi differenze.
Certo, di recente alcune Zone 30 sono state realizzate a Roma nelle aree Aventino/Terme Deciane, Casal Bertone, Ostia Antica, Quadraro Vecchio, largo Millesimo, Casal Monastero/viale Ratto delle Sabine.
Ma è davvero una goccia in un mare.
Rendere tutto il centro Zona 30 (bisogna poi stabilire una esatta perimetrazione dell’area “centro) sarebbe una vera e propria rivoluzione. Ma a Roma, molti pensano che ciò sia impossibile.
Perché c’è l’idea che il romano è “incapace”?
Le amministrazioni capitoline, fino ad oggi, hanno sempre rinunciato in partenza a effettivi e importanti miglioramenti in molti campi con la convinzione che la città è troppo grande, che i romani non sarebbero capaci di adeguarsi.
Ma forse sarebbe il caso di cominciare a pensare che educare i romani a prospettive che migliorino la civile convivenza è possibile.
Ne è un esempio lampante l’esperienza nella gestione dei rifiuti. Roma è la capitale più sporca d’Europa e con la tassa rifiuti più alta.
Tutte le amministrazioni hanno puntato l’attenzione sulle soluzioni tecnologiche, tutte fallimentari, come lo sarà anche il futuro inceneritore.
Nessuno ha mai pensato che il cuore del problema potesse essere invece l’educazione dei romani.
I romani che vanno a vivere in una paesino, anche solo per poco tempo, imparano a fare la raccolta differenziata e la fanno anche bene. Perché a Roma invece non ci riescono?
Perché la città (leggasi “Amministrazione”) non dà loro gli strumenti tecnologici ma anche culturali.
Allora mi chiedo: sarà mica che prima di educare i romani dovremmo educare quei ‘somari’ degli amministratori?
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