Antonio, classe 1923, aveva 18 anni quando il 1° gennaio del 1941 venne chiamato alle armi. Dopo l’addestramento a Caserta, partì per la Grecia con il 6° reggimento officina mobile pesante insediatosi nei pressi di Atene.
La cattura e il trasferimento nei campi di prigionia in Germania
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, nello sbando generale, Antonio Gnasso venne fatto prigioniero dai tedeschi.
Dopo 40 giorni di viaggio su carri bestiame, arrivò in Germania nel campo di prigionia a Meppen e poi nei campi di lavoro a Neuhausen.
Riuscì a fuggire dal campo rimanendo nascosto fino alla liberazione degli americani il 28 febbraio 1945.
Gnasso oggi sarà al Quirinale per ricevere dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella l’onorificenza.
“Vestiti con la cartapesta. Molto morivano di freddo”
Ecco il racconto di Antonio Gnasso, il sopravvissuto di Latina ai campi di prigionia nazisti.
“Già durante il viaggio molti miei compagni che erano stati sistemati sui vagoni scoperti morirono prima di arrivare. Appena giunti ci denudarono, ci vestirono con pantalone e giacca di cartapesta e degli zoccoli olandesi. Era metà ottobre, c’era già la neve”.
“Negli zoccoli entravano acqua e neve: e dire che secondo i tedeschi ci avrebbero dovuto proteggere i piedi. La notte ci facevano uscire dalle baracche con letti a castello a tre piani: ci portavano all’aperto per fare l’appello. La loro intenzione era di mandarci in Russia in aiuto all’esercito”.
“L’appello durava un’ora, in molti morivano di freddo”, ha aggiunto, commuovendosi.
“La domanda dei nazisti era sempre: chi è fascista faccia un passo avanti. Non si muoveva nessuno e questo ai tedeschi dava parecchio fastidio”.
La liberazione: nascosto 3 giorni in una buca senza mangiare
“Il 28 febbraio 1945 arrivarono gli americani. A fare da guardia c’erano dei soldati 14enni, riuscivamo a scappare perché avevamo acquisito esperienza rispetto alle loro guardie”.
“Mi sono nascosto per tre giorni in una buca senza mangiare, poi sentii un rumore e capii che erano gli americani. Sono uscito fuori saltando e per questo ho rischiato di essere sparato dagli americani”.
“Gli italiani erano considerati escrementi umani, italiani cani, maiali, “Italiani kaputt”, continuavano a ripetere i nazisti. Non eravamo uomini, ma numeri. La personalità veniva annientata”.
“Ci ha detto tutto solo 20 anni fa”
“Solo da una ventina di anni si è aperto per raccontarci della sua esperienza”, ricorda il figlio di Antonio, Andrea, classe 1954, nato il 28 febbraio, lo stesso giorno della sua liberazione.
“Quando è tornato la gente non credeva alla sua testimonianza, sembrava impossibile”.
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