Un caso giudiziario molto complesso, che ha coinvolto la gestione e l’ampliamento del porto turistico portando a una serie di ricorsi, sequestri e sentenze.
Al centro della vicenda, una concessione demaniale e una serie di interventi edilizi contestati dalle autorità, su cui il Tribunale ora ha detto la sua parola definitiva.
L’origine della controversia col Comune di Nettuno
Tutto ha avuto inizio con un atto suppletivo alla concessione demaniale del 1983. L’atto fu stipulato tra l’amministrazione e la società concessionaria del porto e approvato nel 2006.
Questo accordo prevedeva l’ampliamento dell’area portuale con la costruzione di nuove strutture, tra cui il prolungamento dei moli, un edificio polifunzionale con camera iperbarica e un eliporto, oltre a una proroga della concessione fino al 2061.
Dopo l’approvazione del progetto, il Comune di Nettuno rilasciò un permesso di costruire, consentendo l’avvio dei lavori.
Tuttavia, nel corso dell’esecuzione, furono riscontrate difformità rispetto al progetto autorizzato.
Scrive il Comune di Nettuno negli atti presentati in Tribunale che si stavano realizzando “magazzini o depositi nella diga di sopraflutto dei quali non si sono riscontrati agli atti i relativi grafici di progetto, né si sono reperite planimetrie con l’indicazione della previsione di tali volumetrie” ed inoltre opere relative all’edificio polifunzionale difformi da quelle approvate “per ciò che concerne la distribuzione interna del vano scala”.
Nettuno, lo stop ai lavori e il sequestro dell’area
Nel 2009 quindi il Comune di Nettuno sospese i lavori e la società presentò una richiesta di sanatoria per le modifiche effettuate.
La risposta dell’amministrazione fu negativa, poiché le variazioni erano state considerate sostanziali e non regolarizzabili con una semplice dichiarazione di inizio attività.
Successivamente, su ordine della Procura di Velletri, tre edifici all’interno del porto furono posti sotto sequestro probatorio per presunte violazioni edilizie e demaniali.
Il Comune di Nettuno, sulla base di tali accertamenti, emise un’ordinanza di demolizione delle opere abusive, che includevano aumenti di volume, variazioni d’uso e nuove costruzioni non autorizzate.
Le battaglie legali e la decisione del Consiglio di Stato
La società concessionaria impugnò il provvedimento di demolizione presso il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio, avviando un lungo contenzioso.
Inizialmente il TAR respinse il ricorso, confermando la legittimità dell’ordinanza comunale.
Tuttavia, in appello, il Consiglio di Stato accolse le richieste della società, ritenendo che il Comune di Nettuno avrebbe dovuto rivalutare la situazione alla luce delle procedure di sanatoria ancora in corso.
In ottemperanza a tale sentenza, il Comune di Nettuno riesaminò la vicenda, ma confermò il diniego alle richieste della società. Il Comune ribadì che le opere risultavano non conformi agli strumenti urbanistici e che non era possibile sanarle con una variante successiva.
Il Tribunale respinge le difese dell’ecomostro di Nettuno
La società imputa al Comune di Nettuno un “Eccesso di potere per grave difetto di istruttoria. Difetto assoluto di motivazione” e “Violazione del principio di tutela del legittimo affidamento e di proporzionalità ed adeguatezza”.
Secondo il Comune l’ampliamento del porto, così come definito nell’atto suppletivo del 2005, risultava non conforme al Prg, il Piano Regolatore Generale dell’epoca.
L’area portuale prevista dal Prg era di 118.000 metri quadrati, mentre con l’ampliamento si sarebbe arrivati a oltre 261.000 metri quadrati, ben al di fuori dei limiti consentiti.
Per questo motivo, secondo il Comune di Nettuno, l’iter autorizzativo avrebbe dovuto seguire un accordo di programma tra le amministrazioni coinvolte, cosa che non era avvenuta.
Di conseguenza, le richieste di sanatoria e di variante urbanistica sono state respinte, confermando l’obbligo di demolizione delle opere abusive.
La decisione finale: l’ecomostro va demolito
Naturalmente la società ha presentato l’ennesimo ricorso al TAR, in data 31 marzo 2023.
ll Comune di Nettuno ha in quella sede ribadito la propria posizione, escludendo qualsiasi possibilità di regolarizzazione per le opere abusive. È stato dunque confermato il principio che le modifiche urbanistiche devono seguire percorsi chiari e condivisi tra gli enti coinvolti.
Lo scorso febbraio è stata resa pubblica la sentenza del deifinitiva del TAR che ha confermato, con una lunghissima motivazione, la tesi del Comune di Nettuno, ovvero che l’opera è insanabile e va demolita.
L’ecomostro al porto di Nettuno dovrà essere smantellato, come chiesto già 16 anni fa.
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