La controversia risale al 2010, quando un uomo ha citato in giudizio il fratello e la sorella, sostenendo di aver acquisito per usucapione la piena proprietà di parte del terreno e degli edifici ivi costruiti. La richiesta era ambiziosa: rivendicavano 4/8 della piena proprietà e 1/8 della nuda proprietà (gravata da usufrutto) appartenente a un fratello, nonché 2/8 dell’usufrutto intestato alla sorella.
La storia della famiglia
Secondo gli attori, nel 1976 i tre fratelli avevano sottoscritto una scrittura privata con cui si dividevano il terreno, assegnandone una porzione (la B) a uno dei fratelli, che nel 1983 vi avrebbe costruito il villino. Da lì, sarebbe iniziato un possesso esclusivo e continuato nel tempo, sufficiente – secondo i ricorrenti – a legittimare l’usucapione.
L’altro fratello ha contestato fermamente questa versione, sostenendo di aver sempre partecipato alla gestione del bene, contribuendo alle spese di costruzione e pagando per anni imposte e oneri connessi. La sorella, invece, è rimasta contumace in tutti i gradi di giudizio.
Il Tribunale di Velletri, nel 2015, aveva già respinto le domande degli attori, escludendo che vi fosse stato un possesso esclusivo del villino e del garage.
Nel 2020, la Corte d’Appello di Roma ha in parte riformato quella sentenza, riconoscendo solo l’usucapione dell’usufrutto di 1/8 del terreno agricolo intestato alla sorella, sulla base del giuramento decisorio da lei reso. Per il resto, tuttavia, ha confermato il rigetto delle pretese: nessuna usucapione del villino o del garage.
Gli attori hanno fatto ricorso in Cassazione, contestando soprattutto il mancato esame della domanda relativa al fabbricato, ma la Suprema Corte ha confermato la linea dei giudici precedenti.
La decisione della cassazione
La Cassazione ha dichiarato inammissibile il primo motivo per “doppia conforme” – ovvero identità di decisione tra primo e secondo grado – e ha precisato che non è possibile invocare il vizio di omesso esame per una domanda giudiziale, ma solo per un fatto storico rilevante e decisivo.
Inoltre, i giudici hanno sottolineato che gli elementi prodotti nel processo (dichiarazioni, scritture private, ricevute di pagamento e persino una lettera in cui un fratello ammetteva il contributo dell’altro fratello alla costruzione del fabbricato) dimostravano l’assenza di un possesso esclusivo da parte degli attori. Anzi, emergeva una compartecipazione attiva e consapevole nella gestione e costruzione degli immobili.
La Cassazione, nel respingere il ricorso, ha ribadito il principio secondo cui l’usucapione, per essere riconosciuta, deve basarsi su un possesso esclusivo, inequivoco e prolungato, incompatibile con i diritti degli altri comproprietari.
Dopo 15 anni, la vicenda si chiude, con una sola certezza: il villino e il garage resteranno ancora contesi, una divisione che nessuna scrittura privata è riuscita a sanare davvero.
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