Con una sentenza articolata e fortemente motivata, il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio ha confermato la legittimità del decreto con cui il Ministero dell’Interno ha respinto l’istanza di cittadinanza italiana presentata da un cittadino straniero nel 2014.
La decisione è fondata su una rigorosa applicazione del principio secondo cui la concessione della cittadinanza per naturalizzazione non costituisce un diritto soggettivo, ma un atto discrezionale, subordinato a una valutazione ampia dell’idoneità del richiedente all’integrazione nella comunità nazionale.
Dichiara infatti il TAR nella sentenza:
L’Amministrazione ha il compito di verificare che nel soggetto istante risiedano e si concentrino le qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprime integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile.
Il rigetto della domanda di Cittadinanza italiana
Il richiedente aveva presentato domanda di cittadinanza per residenza presso la Prefettura di Roma, ma si era visto notificare un preavviso di rigetto nel 2018, cui aveva risposto fornendo documentazione a sostegno della propria posizione.
Dopo la condanna di primo grado per guida in stato di ubriachezza, infatti, l’uomo era stato assolto, ma per scadenza dei termini di prescrizione.
Tuttavia, nel 2020, il Ministero dell’Interno ha formalizzato il rigetto, motivandolo con la presenza di “pregiudizi di carattere penale”.
In particolare, veniva richiamata una condanna per guida in stato di ebbrezza risalente al 2012, poi archiviata per prescrizione in appello nel 2014, e un ulteriore procedimento per reati edilizi, concluso anch’esso senza condanna definitiva grazie alla rimozione degli abusi.
L’uomo aveva comunque collezionato anche altri precedenti denunce per immigrazione clandestina e abusi edilizi. Era riuscito comunque a evitare le condanne.
Ma il TAR ha specificato che tutti quei precedenti, anche se assolto per prescrizione o per aver sanato l’abuso, erano da tenere in considerazione.
Secondo infatti una sentenza del Consiglio di Stato che fa giurisprudenza, la concessione della cittadinanza presuppone che
“nessun dubbio, nessuna ombra di inaffidabilità del richiedente sussista, anche con valutazione prognostica per il futuro, circa la piena adesione ai valori costituzionali su cui Repubblica Italiana si fonda”
Le ragioni del rigetto
Il TAR ha ritenuto pienamente legittima la decisione dell’Amministrazione, sottolineando diversi aspetti.
La cittadinanza non è un diritto soggettivo, ma un atto ad alta discrezionalità politica e amministrativa. La valutazione dell’Amministrazione non si limita all’assenza formale di condanne, ma si estende all’idoneità del richiedente a essere accolto stabilmente nella comunità nazionale.
La guida in stato di ebbrezza è un fatto di particolare disvalore sociale, in quanto mina i principi fondamentali della convivenza civile e la sicurezza pubblica. Anche in assenza di una condanna definitiva, la condotta in sé può essere valutata negativamente.
Il principio della “pluriqualificazione del fatto giuridico” consente all’Amministrazione di tenere conto del fatto storico alla base di un procedimento penale anche se questo si è concluso per prescrizione.
In altri termini, ciò che rileva è la condotta, non l’esito processuale.
I comportamenti oggetto di rilievo si collocano nel “periodo di osservazione”, ovvero i dieci anni precedenti alla domanda, durante i quali il richiedente deve dimostrare una condotta irreprensibile e un’integrazione compiuta nella società italiana.
Anche in relazione ai reati edilizi, il Tribunale ha ricordato che la rimozione delle opere abusive non elimina il fatto storico né il disvalore che l’Amministrazione può legittimamente attribuirvi nel contesto del procedimento.
Di conseguenza, addio cittadinanza italiana.
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