La sentenza riguarda una vicenda giudiziaria tra il Comune di Anzio e una società che aveva presentato ricorso contro gli ordini di demolizione e sanzione per abusi edilizi riscontrati in uno stabilimento produttivo.
La controversia ruotava attorno a tre ordinanze emesse nel marzo 2021.
Nelle ordinanze il Comune di Anzio aveva intimato alla società conduttrice di un capannone industriale di demolire un abuso edilizio.
L’abuso riguardava un ampliamento privo di permesso di costruire. Il Comune aveva quindi ordinato di ripristinare lo stato originario degli interni dell’immobile, modificati senza autorizzazione. Infine aveva ordinato di pagare una sanzione amministrativa da 1.500 euro.
Il ricorrente: l’abuso edilizio era già presente alla stipula del contratto di locazione del capannone di Anzio
Secondo la società ricorrente, gli abusi edilizi contestati non erano di sua responsabilità, ma risalivano a decenni fa e sarebbero stati già presenti al momento della stipula del contratto di locazione del capannone di Anzio, nel 2016.
La proprietà dell’immobile è infatti riconducibile a un’altra società. La società ricorrente si dichiarava dunque estranea alla realizzazione delle opere abusive.
Il TAR: la responsabilità è anche del conduttore dell’immobile
Il TAR ha respinto in toto le argomentazioni della società, richiamando la giurisprudenza consolidata secondo cui l’ordine di demolizione ha natura reale:
non è necessario individuare l’autore materiale dell’abuso, ma è sufficiente che il destinatario del provvedimento abbia un rapporto diretto con l’immobile, tale da poter provvedere al ripristino della legalità.
In altre parole, anche il conduttore è responsabile e tenuto alla demolizione, a prescindere dalla proprietà.
Il Collegio ha inoltre sottolineato come la società non abbia fornito prove convincenti circa l’anteriorità delle opere contestate rispetto all’inizio della sua attività nei locali.
Anche le modifiche interne e la tettoia non sono giustificate
Analogo esito ha avuto la parte del ricorso relativa alla diversa distribuzione interna dei locali e alla realizzazione di una tettoia di circa 25 mq, anch’esse effettuate – secondo l’amministrazione – in violazione della normativa edilizia e in assenza delle necessarie comunicazioni.
Il TAR ha stabilito che, trattandosi di opere minori, l’assenza della “segnalazione certificata di inizio attività” (SCIA) costituisce un illecito amministrativo, punibile con sanzione pecuniaria.
Anche in questo caso, il giudice ha ribadito che la disponibilità dell’immobile da parte della società è sufficiente a fondare la responsabilità, ritenendo irrilevante la mancanza di prove circa la realizzazione degli interventi da parte di terzi.
No alla “fiscalizzazione” dell’abuso edilizio: niente deroga all’obbligo di demolizione
Un ulteriore punto controverso riguardava la possibilità di “fiscalizzare” l’abuso, ovvero sostituire la demolizione con una sanzione pecuniaria in caso di impossibilità oggettiva di procedere al ripristino senza danneggiare la parte legittima dell’edificio.
Anche su questo aspetto il TAR ha preso posizione netta: la fiscalizzazione è misura eccezionale, applicabile solo in sede di esecuzione dell’ordine demolitorio e solo se il privato dimostri, con elementi tecnici concreti e dettagliati, l’impossibilità di procedere senza pregiudizio per l’intero edificio.
La società ricorrente si è invece limitata a mere “perplessità” espresse dal tecnico di parte, senza produrre una documentazione adeguata.
Nessun legittimo affidamento né prescrizione: la legalità va ripristinata
Infine, il TAR ha respinto anche le eccezioni relative alla presunta prescrizione della sanzione amministrativa e alla violazione del principio di legittimo affidamento per via del tempo trascorso.
Sul primo punto, il giudice ha ricordato che, trattandosi di illeciti edilizi permanenti, la prescrizione decorre solo dal momento in cui l’abuso viene effettivamente accertato.
Sul secondo, ha ribadito che l’ordinanza di demolizione ha carattere vincolato e non necessita di una motivazione specifica, né il tempo trascorso può far maturare un diritto a mantenere un’opera illegittima.
Ricorso respinto, ordinanze confermate
Alla luce di tutte queste considerazioni, il TAR ha concluso per l’infondatezza del ricorso, confermando la piena legittimità delle ordinanze comunali.
La società, dunque, dovrà procedere alla demolizione dell’ampliamento abusivo, al ripristino degli interni e al pagamento della sanzione amministrativa.
Leggi anche: Casetta abusiva su terreno comunale: il responsabile non deve pagare multe