La discarica per rifiuti urbani situata nella frazione di Cecchina, al confine con Roma-Santa Palomba e Ardea, sembrava destinata a restare chiusa per i prossimi trent’anni.
Dopo lo stop allo sversamento di rifiuti imposto da marzo 2023, e dopo che il VII invaso è stato chiuso – ossia ‘tappato’ in via definitiva – a metà 2024, quindi a malapena un anno fa.
Ma non è così e dovrà ‘riaprire’, visto che la copertura di chiusura definitiva del VII invaso dovrà essere già ‘ritoccata’.
Lo scorso 2 maggio la Regione Lazio ha autorizzato la società Ecoambiente ad eseguire una serie di modifiche al capping (ossia alla chiusura finale e definitiva) del VII invaso stesso.
Una storia, questa della discarica di Roncigliano, che ha troppi lati oscuri e continua a mostrarne di nuovi.
Due interdittive antimafia, ma per la Regione Lazio è tutto ok
Ma facciamo un passo indietro per capire il contesto ‘storico’ della discarica di proprietà – ancora oggi – del Gruppo riconducibile a Manlio Cerroni, il patron dei rifiuti di Roma e dintorni.
Nel 2019 la discarica – su cui già all’epoca pendevano due interdittive antimafia, una del 2006 e una del 2014, entrambe della Prefettura di Roma – venne spacchettata in due, attraverso due distinte procedure di subaffitto.
La parte che ricomprendeva l’ex TMB fu affittata ad una azienda veneta. L’altra parte, che ricomprende il VII invaso, alla Ecoambiente.
Il via libera al subaffitto fece saltare dalla sedia comitati e associazioni locali. Ma chi potrebbe permettere ad una società su cui pendono due interdittive antimafia una operazione del genere?
La risposta è semplice, la Regione Lazio, giunta Zingaretti bis, dirigente Flaminia Tosini, poi arrestata per presunta corruzione.
Sulla discarica di Albano ‘cade’ la terza interdittiva antimafia
Nel luglio 2022 il colpo di scena: anche la Ecoambiente (fino ad allora priva di pendenze giudiziarie) finisce sotto la lente del Prefetto di Latina che emette una nuova interdittiva antimafia sulla società, bloccando ogni legame con la pubblica amministrazione.
Il Prefetto di Latina ha messo a capo della società due Commissari prefettizi di sua nomina.
Commissari che, da allora, guidano la società sotto interdittiva antimafia.
La chiusura del VII invaso? Sì, ma ci sono lavori da fare
Nel marzo 2023 arriva lo stop all’autorizzazione ambientale per la discarica. Che si traduce subito nello stop dei conferimenti di rifiuti nel VII invaso, anche se la volumetria residua c’era ancora.
Ricordiamo, infatti, che la discarica, chiusa da giugno 2016 per un incendio dai contorni mai chiariti, era stata riaperta nel 2021 dall’ex sindaca di Roma Virginia Raggi.
Ma l’autorizzazione del 2023, attenzione, non viene revocata del tutto: resta valida per la “messa in sicurezza”, cioè il capping — la copertura finale — e la gestione post-operativa delle discarica stessa.
Un modo per non perdere del tutto il controllo e per tenere la porta socchiusa. E così, mentre da un lato si sospende, dall’altro si lascia tutto in stand-by, pronti a “modificare” in corsa.
La Regione Lazio mette i paletti ai subaffittuari
A novembre 2023 la Regione Lazio decide di revocare “parzialmente” l’autorizzazione. Una revoca che, in ogni caso, permette di eseguire la copertura finale del VII invaso e che obbliga la società stessa a accollarsi le attività di post chiusura.
Il motivo? La tutela dell’ambiente e della salute pubblica. Una spiegazione nobile che però fa storcere il naso a molti, vista la sequenza di deroghe e aggiustamenti arrivati dopo l’interdittiva.
A fine 2024 (Giunta Rocca) la Regione Lazio revoca parzialmente i titoli precedenti (concessi da Zingaretti) per ‘Contagio – così riportano le carte – da interdittiva antimafia”.
Il ritocchino al progetto e i dubbi
Arriviamo così al gennaio 2025, quando Ecoambiente presenta una nuova richiesta: modificare la copertura del VII invaso conclusa appena un anno fa. Al posto dello strato di argilla, propone di coprire l’invaso con un più “maneggevole” telo bentonitico.
La motivazione? Agevolare le lavorazioni in pendenza e aumentare la stabilità. Insomma, una modifica “non sostanziale” — così è stata inquadrata — ma che di fatto riscrive un pezzo importante del progetto originale.
Ma come è possibile avere un ripensamento su una cosa così importante dopo meno di un anno? Perché l’argilla dopo solo 11 mesi non va più bene? C’è stato un errore? E poi questo telo è davvero migliore?
Su internet troviamo che la durata di questo telo è di 25 anni in normali condizioni. Ma questa è una discarica, proprio normali le condizioni non sono.
Insomma a noi vengono tanti dubbi sull’operato di chi dovrebbe tutelarci. Ma sembra proprio che questi dubbi vengano solo a noi.
L’Arpa approva, gli altri enti…. tacciono
La storia prosegue con l’intervento dell’Arpa Lazio, che esamina la documentazione tecnica e dà il suo via libera: la sostituzione dello strato d’argilla è ritenuta ammissibile, a patto che le pendenze restino sotto i 31° e la permeabilità del nuovo materiale sia garantita.
Gli altri enti, chiamati a esprimere un parere, non rispondono.
Il Comune di Albano, l’assessora Gabriella Sergi con delega all’Ambiente? Da loro nessuna notizia, nessun parere, nessun post social. Silenzio-assenso?
Fatto sta che ora la Regione Lazio, nel maggio 2025, approva la modifica alla chiusura del VII invaso.
La discarica di Albano che non chiude mai davvero
Quello che colpisce è la dinamica dell’intera vicenda: una discarica sotto amministrazione straordinaria, con interdittiva antimafia, che però continua ad operare — almeno per la copertura finale — che cambia materiali e ‘approccio’ in un solo anno.
Il tutto mentre a 500 metri in linea d’aria da questa stessa discarica il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, vuole costruire l’inceneritore Acea al servizio della Capitale.
L’eterno ritorno dell’emergenza?
La storia della discarica di Albano sembra seguire lo stesso copione visto troppe volte in Italia.
Un’emergenza che non finisce mai, proroghe che diventano permanenze, gestioni commissariali che si prolungano, e deroghe che sanno di compromesso.
Intanto, il territorio resta ostaggio di una struttura che doveva chiudere e invece continua a generare carte, modifiche e decisioni a porte girevoli. Con buona pace di ambiente e cittadini.
Con il Comune di Albano assente ingiustificato.
Nel 2022 una delle due società subaffittuarie tentò in ogni modo di riavviare il sito.
Il progetto prevedeva di costruire al suo interno, al posto del TMb andato in fiamme, un maxi biogas da 120mila tonnellate annue, più un impianto multimateriale da 75mila tonnellate annue.
Dopo un primo tentativo, fallito, l’azienda ritentò di nuovo, provando la strada del ‘solo’ biogas da 80mila tonnellate. Anche questa, però, si rivelò un vicolo cieco.
Ora i cittadini cos’altro debbono aspettarsi?