Ma dietro a un’auto parcheggiata regolarmente, con il contrassegno disabili ben esposto, si consuma una delle tante piccole ingiustizie che rivelano quanto ancora l’ignoranza e il pregiudizio possano ferire più della malattia stessa.
Una madre, il cui unico “errore” è stato quello di avere una figlia disabile, ha deciso di raccontare su Facebook l’ennesimo episodio di discriminazione quotidiana che ha vissuto.
Le sue parole sono un pugno allo stomaco, un grido di dolore ma anche un potente atto d’accusa verso una società che giudica in fretta, senza sapere, senza vedere davvero.
“Mia figlia ha cinque anni, con un trapianto di organo fatto a quattro mesi di vita, diverse malattie, oltre che prossima a nuove operazioni perché l’organo dà problemi. Ed ha il tagliando disabili per il parcheggio.”
Una bambina che ride, gioca, scherza, che sembra ‘normale’. Ma che, dietro quel sorriso, nasconde una diagnosi tremenda: “una malattia grave, non compatibile con la vita”.
Una bambina che presto dovrà convivere con una sacca di drenaggio esterno, da portare “in giro per il mondo”.
Un dramma di proporzioni enormi. Nonostante ciò la madre si è ritrovata incredibilmente sotto attacco.
Racconta nel post su Facebook:
“Questa DONNA mi ha visto stamattina parcheggiare al parcheggio disabile della stazione ma non curante che di qui a poco sarebbe arrivata la mia bambina accompagnata, dovremmo raggiungere oggi il Bambino Gesù di Roma e tornare indietro poi ancora con il treno.
Questa DONNA non sa l’inferno che viviamo.Questa DONNA confabulando a voce alta con un’altra donna si è permessa di dire: ‘se vuoi fare la figa furbetta non usare il posto disabili dovresti vergognarti’”.
Un’accusa velenosa, buttata lì, senza sapere nulla della realtà di chi aveva davanti. Una realtà fatta di ospedali, notti insonni, viaggi continui tra città per garantire cure salvavita a una figlia che “non sappiamo quanto durerà”.
“Che schifo di donna che sono…”, ironizza amaramente la madre, raccontando come, in quel momento, stava “sistemando i documenti di mia figlia perché, oltretutto, sto anche andando a fare la carta BLU disabili a Termini”, perché per le cure nei prossimi mesi dovrà muoversi anche fuori regione.
Perché la malattia, oltre al dolore, comporta anche spese, logistica, permessi, burocrazia da affrontare con il cuore spezzato.
La risposta a chi l’aveva insultata
Alla fine, la donna trova la forza per rispondere “con la voce tremante il cuore a mille e con le lacrime agli occhi”:
“C’è l’ha con me per caso? Le auguro di non avere una bambina di cinque anni che rischia di morire, con un trapianto. Se vuole, ora che sale sul treno, viene diretta con noi al Gianicolo.”
È la voce tremante di una madre che si è vista guardare con disprezzo “da dieci minuti”, come se fosse una criminale e non una guerriera silenziosa.
Che ha dovuto subire anche la beffa di una frase già udita in passato, come quella della cassiera dello zoo di Roma: “Non si vede che è disabile, almeno le puoi fare le treccine in testa.”
Così, in un mondo dove l’apparenza continua a dettare legge, chi combatte guerre invisibili è costretto anche a giustificarsi, a difendersi, a mostrarsi per essere creduto.
“Non parlo molto della malattia di mia figlia e delle offese che riceviamo perché la sua malattia ‘non si vede’”.
E conclude il suo sfogo con parole su cui riflettere:
“Molte persone vivono degli inferni che gli altri nemmeno sanno. E siamo nel 2025. Bisognerebbe essere persone migliori, per rispetto dei nostri figli.”
Non servono commenti, solo silenzio e rispetto.
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