Con una sentenza pubblicata nei giorni scorsi, il Tribunale ha respinto il ricorso presentato dalla proprietaria del ristorante, confermando la piena legittimità dell’ordinanza del Comune di Nettuno che imponeva la rimozione della canna fumaria, ritenuta opera abusiva.
La canna fumaria “abusiva” del ristorante nel centro storico di Nettuno
La questione ruota intorno a un intervento edilizio eseguito in un edificio situato in una zona vincolata paesaggisticamente.
La titolare del ristorante aveva depositato nel 2022 una SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) al Comune di Nettuno per sostituire una vecchia canna fumaria.
Tuttavia, durante un sopralluogo avvenuto nel settembre 2024, i tecnici comunali avevano accertato la presenza non solo della nuova installazione, ma anche della vecchia canna fumaria, ancora intatta. Questo in palese contrasto con quanto dichiarato nella SCIA, che prevedeva esplicitamente una “sostituzione”.
Ma non è tutto. Gli ispettori avevano anche rilevato che la nuova canna fumaria presentava una curvatura non riportata nei progetti autorizzati. Entrambe le strutture inoltre non rispettavano le distanze minime dai fabbricati adiacenti, previste dal regolamento edilizio comunale.
Da qui era scaturita la diffida del Comune, con l’ordine di rimozione immediata delle opere irregolari, motivata dalla violazione sia delle norme urbanistiche che di quelle in materia paesaggistica.
La guerra in tribunale
La proprietaria aveva impugnato il provvedimento. Sosteneva infatti che il Comune avrebbe dovuto comunicarle l’avvio del procedimento e che la curvatura era stata imposta proprio per rispettare prescrizioni paesaggistiche.
Tuttavia, il TAR ha respinto tutte le eccezioni. Il TAR ha precisato che non si trattava di un annullamento in autotutela della SCIA, bensì di un legittimo esercizio del potere di vigilanza edilizia da parte dell’amministrazione comunale.
Il Tribunale ha inoltre evidenziato come la modifica al progetto non fosse stata comunicata tramite una variante, come invece richiesto dalla normativa. Inoltre anche sotto il profilo paesaggistico l’opera risultava difforme da quanto autorizzato.
In mancanza di una specifica richiesta di sanatoria postuma, ha concluso il TAR, il Comune era pienamente legittimato a ordinare il ripristino dello stato dei luoghi.
La sentenza si chiude con la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese legali.
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