Al centro del giudizio, la legittimità del mancato pagamento da parte del Comune di Lanuvio alla società proprietaria dell’immondezzaio, ma soggetta a più di una interdittiva antimafia, la Pontina Ambiente srl.
Il Tribunale ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla stessa società privata che da anni gestiva l’impianto presso la discarica, confermando indirettamente la correttezza della posizione assunta dal Comune di Lanuvio tra il 2019 e il 2022.
In sostanza, in presenza di una o più interdittive antimafia, le pubbliche amministrazioni possono legittimamente sospendere i pagamenti, anche in presenza di prestazioni effettivamente rese.
Anche – questo spiegano i giudici – alla luce di una sentenza giudiziaria che impone il pagamento di somme di denaro, come il caso in parola, in cui la società chiedeva conto di un pagamento frutto di una sentenza del TAR stesso del 2019.
Discarica di Albano, interdittiva antimafia e pagamenti sospesi
La società ricorrente, destinataria di provvedimenti antimafia sin dal 2006 – così si legge nella sentenza del TAR del Lazio del 3 Giugno – contestava il contenuto di una determinazione della Regione Lazio del 21 gennaio 2022, che subordinava ogni pagamento da parte degli enti locali al superamento delle misure interdittive.
La società sosteneva che tale condizione non potesse applicarsi ai corrispettivi per servizi già resi, ma solo ai contributi pubblici e ad altri benefici economici.
Il TAR ha respinto questa tesi, affermando che l’atto regionale aveva valore meramente ricognitivo di una normativa cogente (il Decreto Legislativo n. 159/2011), e non poteva dunque essere ritenuto lesivo.
In parole semplici, l’amministrazione ha correttamente fatto riferimento a una legge dello Stato, senza esercitare alcun potere innovativo o discrezionale.
Non è il Comune che deve essere citato, per la discarica di Albano
Il giudice amministrativo ha anche chiarito un aspetto fondamentale: il soggetto eventualmente lesivo dei diritti della società non è la Regione Lazio, bensì i singoli Comuni, nel caso in cui rifiutassero il pagamento in virtù della misura interdittiva.
In quel caso, l’eventuale impugnazione andrebbe rivolta direttamente contro il provvedimento comunale di diniego, non contro un atto generale della Regione che si limita a ricordare l’esistenza di una norma.
Il nodo degli interessi moratori
Altro punto centrale del ricorso riguardava la mancata liquidazione degli interessi di mora derivanti da una precedente sentenza del TAR Lazio del 21 maggio 2019.
La società chiedeva che la Regione Lazio fosse obbligata a riconoscere gli interessi sulle somme dovute per la gestione del ciclo dei rifiuti, a partire dal 1 gennaio 2010.
Anche questa domanda è stata ritenuta inammissibile. Il Tribunale ha stabilito che la Regione Lazio ha correttamente rideterminato la tariffa spettante e il relativo periodo di decorrenza (115,80 euro a tonnellata dal 2010, rivalutata annualmente secondo l’indice ISTAT).
Gli interessi, ha precisato il Tribunale, possono essere calcolati matematicamente sulla base di quanto già stabilito, senza che ciò comporti un’ulteriore violazione del giudicato.
In sostanza, il credito risarcitorio è già delineato e la società potrà attivarsi per ottenere la somma senza necessità di un ulteriore pronunciamento.
Contro questa pronuncia la società privata può appellarsi al Consiglio di Stato, ultimo grado della giustizia amministrativa.
Il principio stabilito: legalità (e assenza di pendenze antimafia) prima del pagamento
La decisione comunque ha un peso specifico che va oltre il caso di Albano.
Riafferma infatti un principio di legalità e trasparenza nei rapporti tra pubbliche amministrazioni e operatori economici: nessun ente può essere obbligato a effettuare pagamenti a favore di soggetti colpiti da misure interdittive.
Il TAR ha quindi tracciato una linea netta: in presenza di provvedimenti antimafia, l’interesse pubblico prevale sull’interesse economico del privato, almeno fino a quando tali misure non vengano revocate.
Le conseguenze per i Comuni del Lazio
Per il Comune di Lanuvio, che non si è costituito in giudizio ma è stato parte formale del procedimento, la sentenza rappresenta una conferma della bontà della propria scelta amministrativa.
Al tempo stesso, la decisione funge da precedente autorevole per altri Comuni della Regione Lazio coinvolti in controversie analoghe legate alla gestione del ciclo dei rifiuti e agli obblighi verso società soggette a interdittiva.
Il Tribunale ha inoltre disposto la compensazione delle spese legali, riconoscendo la complessità e la delicatezza della materia trattata.
Una sentenza che rafforza e sottolinea l’importanza dei controlli antimafia
Con questa decisione, il TAR del Lazio contribuisce a rafforzare l’efficacia dell’architettura normativa antimafia, confermando che le misure interdittive non rappresentano semplici “sospensioni” formali, ma comportano conseguenze economiche reali e immediate.
In questo modo, si rafforza la linea di separazione tra attività economiche lecite e operatori potenzialmente legati alla criminalità organizzata.
Una scelta netta che mette il rispetto delle regole al centro della gestione dei servizi pubblici.
Continuano le sentenze a favore de Il Caffè, ma la querela a Latina non viene ancora archiviata
Giova ricordare che il nostro giornale porta sulle spalle un procedimento giudiziario relativo ad una querela presentata anni fa da una società subaffittuaria di parte della discarica di Albano.
Società subaffittuaria che, secondo la Regione Lazio, sarebbe ‘contagiata’ da queste stesse interdittive antimafia classe 2006, poi reiterate nel 2014, 2020 e 2022. Questo abbiamo scritto.
Eppure, dopo diversi anni, il Tribunale di Latina non ha ancora archiviato la nostra posizione, nonostante abbiamo scritto soltanto le verità che sono agli atti, consultabili anche da qualsiasi cittadino.
Tribunali che potrebbero magari occuparsi di un altro aspetto che sembra ancora essere ignorato da tutti.
Qualsiasi fornitore di un ente comunale sa bene che per essere pagato deve dimostrare di essere senza nessun carico penale e perfettamente in regola con tutte le leggi e con i pagamenti allo Stato, persino Inps e Inail. Come può allora un fornitore richiedere pagamenti ed interessi se ha a carico non un piccolo mancato pagamento all’Inps, ma addirittura diverse interdittive antimafia?
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