La stessa cartella, emessa da Agenzia delle Entrate-Riscossione, era stata precedentemente confermata dalla Commissione tributaria regionale del Lazio.
Per la Cassazione il tributo al Consorzio di Lavinio non è chiaro
La vicenda trae origine da una cartella notificata alla società consorziata per il mancato pagamento di contributi imposti dal Consorzio.
La Commissione tributaria provinciale di Roma aveva respinto il ricorso iniziale dell’impresa, decisione poi confermata in secondo grado.
Tuttavia, secondo la Corte di Cassazione, i giudici regionali non hanno adeguatamente considerato un elemento essenziale: la motivazione della cartella di pagamento.
Nel ricorso presentato in Cassazione, l’Immobiliare La Pineta contestava il difetto di motivazione dell’atto impositivo.
La società lamentava l’assenza di riferimenti specifici al piano di classifica, al bilancio consortile e agli atti amministrativi su cui si basava la richiesta di pagamento.
Nello specifico il ricorrente denunciava la Commissione Tributaria per aver omesso di rilevare il difetto di motivazione della cartella impugnata, nonché «il mancato assolvimento dell’onere di provare il credito vantato
dall’ente impositore».
Lamentava inoltre che la cartella impugnata fosse priva di ogni riferimento al «piano di classifica e/o di ripartizione della spesa … oltre … al bilancio annuale e relativo riparto».
Anzio, Cartella di pagamento con insufficienti informazioni
Con la sentenza n. 15.570 dell’11 giugno 2025 la Cassazione ha ritenuto fondate queste critiche.
La corte ha ribadito un principio già affermato dalle Sezioni Unite:
quando una cartella di pagamento rappresenta il primo e unico atto con cui l’ente impositore avanza una pretesa tributaria, essa deve contenere tutti gli elementi necessari per permettere al contribuente di comprenderne la legittimità e valutarne la fondatezza.
Nel caso in esame è risultato pacifico che la cartella notificata dal Consorzio fosse priva di ogni indicazione relativa agli atti presupposti, come le delibere di approvazione del bilancio o del piano di ripartizione della spesa.
Di conseguenza, secondo i giudici della Cassazione, l’atto non consentiva alla società consorziata di esercitare in modo pieno il proprio diritto di difesa, come richiesto dalla legge.
Consorzio di Lavinio condannato
La Corte ha inoltre precisato che il requisito formale della motivazione non può essere ritenuto superfluo, nemmeno se il contribuente abbia potuto difendersi efficacemente in giudizio o se gli atti presupposti siano stati successivamente prodotti.
La valutazione sulla validità dell’atto impositivo deve essere compiuta in base al suo contenuto originario. Non è sufficiente che le possibilità difensive possano emergere in un secondo momento.
La Cassazione ha pertanto cassato la sentenza della Commissione tributaria regionale. La Corte ha deciso la causa nel merito annullando la cartella impugnata.
I giudici hanno inoltre condannato Il Consorzio al pagamento delle spese processuali relative a tutti e tre i gradi di giudizio, per un importo di 5.900 euro.
L’ennesimo caso in cui la Corte Suprema di Cassazione è costretta a smentire l’operato delle Commissioni tributarie.
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