Il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio ha respinto il ricorso della proprietaria di una villa situata nei pressi di via di Calvarione, che aveva contestato l’ordinanza di demolizione emessa dal Comune di nemi quattro anni fa.
L’immobile, secondo i rilievi del sopralluogo eseguito nel 2021 dalla Polizia locale di Nemi, non risultava in alcun modo autorizzato dalle pratiche edilizie conservate negli archivi comunali.
Secondo quanto emerso nel procedimento, la struttura — un fabbricato di circa 50 metri quadrati, dotato di comignolo e parabola satellitare — era stata costruita ma sulla base di una autorizzazione che prevedeva una semplice capanna agricola.
La realtà accertata dagli ispettori comunali era quindi ben diversa.
Una capanna agricola diventata dependance
La proprietaria aveva fondato la propria difesa su una vecchia autorizzazione risalente al 1983, che prevedeva la possibilità di costruire una capanna in legno per il ricovero degli attrezzi agricoli.
A supporto, aveva anche fatto riferimento a una DIA (Dichiarazione Inizio Attività) del 2007, relativa a una tettoia annessa.
Ma il TAR ha chiarito che nessuno di questi atti può giustificare la costruzione esistente.
Il fabbricato, per come è oggi, è stato definito “una struttura a singola elevazione, di consistente cubatura” e in evidente contrasto con le autorizzazioni pregresse.
In particolare, mancavano riferimenti catastali, indicazioni sulle dimensioni e documenti che potessero confermare una regolare evoluzione dell’opera.
L’intervento del Comune di Nemi: stop all’abuso, via alla demolizione
Il Comune di Nemi aveva ordinato la demolizione della dependance già nel 2021, dopo un’ispezione che aveva rilevato numerosi abusi edilizi.
Oltre al fabbricato principale, l’ordinanza includeva anche il cambio di destinazione d’uso dell’intero seminterrato della villa, trasformato in abitazione senza permessi, e la tamponatura di una tettoia che aumentava la volumetria dell’immobile.
Tutti interventi che, secondo il Tribunale, rientrano pienamente nella casistica degli abusi edilizi, con conseguente obbligo per l’Amministrazione di Nemi di intervenire.
L’ordinanza di demolizione, in questi casi, non è una scelta discrezionale, ma un atto vincolato imposto dalla legge.
Nessun affidamento possibile
Un altro dei punti cardine del ricorso era la presunta buona fede della proprietaria.
Secondo la tesi difensiva, il lungo tempo trascorso dall’autorizzazione originaria avrebbe generato un affidamento legittimo. Ma il TAR ha ribadito che il semplice decorso del tempo non può sanare un abuso edilizio.
Il principio è chiaro: non si può legittimare ciò che nasce illegittimo, e l’eventuale inerzia amministrativa non costituisce una sanatoria automatica.
La difesa della legalità urbanistica prevale sempre sull’interesse privato, soprattutto in territori sottoposti a vincoli paesaggistici, come quelli dei Castelli Romani dove è avvenuto l’abuso della dependance.
Una sentenza che fa scuola per i Castelli Romani
La sentenza del TAR si inserisce in una linea giurisprudenziale consolidata che rafforza il ruolo dei Comuni nel contrasto all’edilizia abusiva.
Il Tribunale ha confermato la piena legittimità dell’azione amministrativa, rigettando in blocco tutte le censure presentate dalla ricorrente.
Il verdetto non lascia margini d’interpretazione: l’ordinanza di demolizione è valida, necessaria e non può essere sostituita da sanzioni pecuniarie, neppure per il cambio d’uso del seminterrato.
In aggiunta, il TAR ha condannato la proprietaria al pagamento di 1.500 euro di spese legali in favore del Comune.
Fine della dependance ai Castelli Romani
L’epilogo è chiaro: quella che doveva essere una semplice capanna agricola si è trasformata in una costruzione residenziale illegittima, ora destinata a sparire.
Il Comune di Nemi potrà procedere all’esecuzione della demolizione, restituendo il paesaggio alla sua conformazione originaria.
Una vicenda che dimostra quanto, ancora oggi, il fenomeno delle costruzioni abusive sia presente anche nei contesti più tutelati. E che, soprattutto, la legge — se applicata fino in fondo — riesce ancora a far valere i principi della legalità urbanistica contro gli abusi edilizi.
Per la proprietaria dell’immobile c’è ancora la possibilità di appellarsi all’ultimo grado della giustizia amministrativa, il Consiglio di Stato.