Un verdetto che, pur sollevando le persone coinvolte da responsabilità penali, mette a nudo una gestione urbanistica definita dallo stesso tribunale come “disordinata” e “confusa”.
Tutto comincia nel 2015, quando l’amministrazione comunale di Ardea rilascia un certificato di destinazione urbanistica che identifica un lotto in via degli Ermellini, a Tor San Lorenzo, come zona B3 – completamento residenziale.
Sulla base di quel documento, la società Effe Emme Soluzioni Immobiliari s.r.l. acquista il terreno, versa gli oneri e le imposte dovute, ottiene il permesso a costruire e avvia i lavori. Sembra tutto regolare.
Il Comune di Ardea prima dà l’ok a costruire, poi lo revoca
Ma il colpo di scena arriva l’anno dopo: lo stesso Comune revoca improvvisamente quanto autorizzato in precedenza. Un nuovo certificato di destinazione urbanistica reinterpreta l’area come zona F3 – verde privato attrezzato.
Un cambio di rotta che ha l’effetto dirompente di un terremoto: lavori bloccati, ordinanza di demolizione, ricorso al Tar e, infine, apertura di un procedimento penale.
Sul banco degli imputati finiscono sei persone. Ma durante il processo, la verità che emerge è un’altra. Il giudice fotografa una situazione inquietante: le tavole del Piano Regolatore Generale sono incomplete, confuse, non aggiornate da decenni.
Una condizione che ha creato terreno fertile per interpretazioni contraddittorie e decisioni discordanti all’interno dello stesso ufficio urbanistico del Comune.
Il terreno era residenziale… ma che fatica
Non è tutto. Le osservazioni urbanistiche approvate dalla Regione Lazio con la delibera n. 5192/1984 confermano che il terreno in questione era effettivamente classificato come B3 – zona residenziale – e non F3, come sostenuto a posteriori dallo stesso Comune che in precedenza aveva autorizzato la costruzione.
Decisiva, nel processo, anche la testimonianza dell’ex dirigente all’urbanistica del Comune di Ardea, l’ingegnere Antonio Mura, che ha dichiarato come, nel tempo, le pratiche edilizie siano state gestite sulla base di interpretazioni disomogenee e certificati tra loro incoerenti, tutti provenienti dal medesimo ufficio comunale.
Il verdetto finale non lascia spazio a dubbi: nessun dolo, ma gravi errori determinati da un disordine urbanistico strutturale. Gli imputati sono stati assolti e il terreno è stato dissequestrato.
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