È una sentenza che pesa come una pietra sulla lunga storia dell’amianto nelle Forze Armate italiane.
Il TAR del Lazio ha riconosciuto la responsabilità del Ministero della Difesa per la morte di un ex militare della Marina, della provincia di Latina, deceduto a Formia nel 2008 per mesotelioma peritoneale, malattia legata all’esposizione all’amianto.
Il verdetto condanna lo Stato a risarcire gli eredi dell’uomo per oltre 110 mila euro, in quanto vittime indirette di un’omessa protezione da parte dell’amministrazione pubblica.
La storia
L’uomo originario della provincia di Latina aveva prestato servizio nella Marina Militare dal 1958 al 1973 come meccanico su varie unità navali.
Gli eredi hanno chiesto il riconoscimento del danno per la morte del loro congiunto a causa dell’amianto presente sulle navi.
I ricorrenti hanno agito “iure hereditatis“, ovvero in quanto eredi, per ottenere la liquidazione dei danni patrimoniali e non patrimoniali che il loro congiunto avrebbe subito a causa dell’esposizione all’amianto.
In giudizio è emerso in modo inequivocabile che l’uomo aveva prestato servizio in ambienti altamente contaminati. Aveva per poi continuato l’attività presso il Genio Militare della Marina fino al pensionamento, nel 2008.
Il TAR ha affermato con nettezza la responsabilità della pubblica amministrazione. Ha rilevato infatti come “l’Amministrazione resistente non abbia adottato adeguate misure di protezione dei dipendenti rispetto al rischio amianto”.
Ha quindi sentenziato che l’inerzia del datore di lavoro pubblico rispetto a un rischio noto costituisce fonte di responsabilità risarcitoria.
Il danno biologico a causa dell’esposizione all’amianto
Il punto nodale della decisione riguarda la quantificazione del danno biologico, compiuta anche attraverso una consulenza tecnica d’ufficio che ha distinto due fasi patologiche.
La prima, relativa al 1999, ha riguardato l’emergere di placche pleuriche e l’asbestosi, quantificata con una invalidità del 4%. La seconda, dal 2008, ha riguardato il mesotelioma peritoneale, malattia tumorale letale causata anch’essa dall’esposizione all’amianto, con una invalidità dell’80% fino al decesso.
Il TAR ha ritenuto risarcibile separatamente il “danno biologico permanente” del 1999 e il “danno terminale” relativo agli ultimi mesi di vita, così suddividendo le somme da liquidare:
- € 3.755,69 per il danno stabilizzato al 1999, oltre interessi legali rivalutati fino alla data della sentenza;
- € 106.531,00 per il danno terminale (comprensivo della sofferenza fisica e psichica patita dal de cuius), da rivalutarsi dall’1.1.2024 alla sentenza.
Il risarcimento spetta agli eredi
Il Tribunale ha chiarito che tali somme risarcitorie spettano agli eredi “secondo la rispettiva quota ereditaria”. L’Amministrazione ha però facoltà di detrarre eventuali somme già corrisposte (come assegni vitalizi o speciali elargizioni) “in dipendenza causale dello stesso evento”, applicando il principio della compensatio lucri cum damno.
In proposito, il TAR ha richiamato i consolidati principi di giurisprudenza secondo cui il risarcimento non può tradursi in un arricchimento del danneggiato: “il danno non deve essere fonte di lucro”.
Ma niente pensione per gli eredi
Non ha invece trovato accoglimento la richiesta dei ricorrenti relativa al mancato percepimento da parte del de cuius dei futuri redditi pensionistici che egli avrebbe potuto conseguire, poiché la morte ha interrotto la sua capacità reddituale.
La Corte ha ribadito che tale danno, per sua natura patrimoniale e proiettato nel futuro, può eventualmente essere fatto valere iure proprio dai congiunti se ne sussistono i presupposti, ma non iure hereditatis dagli eredi.
Sul piano processuale, il TAR ha anche disposto che il compenso del CTU (Consulente Tecnico d’Ufficio) pari a € 2.936,00, venga posto a carico dell’Amministrazione soccombente, con onere solidale delle parti verso il perito.
Infine, le spese legali del giudizio sono state liquidate in € 4.000,00, oltre accessori di legge, in favore del difensore degli eredi, avv. Bonanni.
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