Un progetto che, dietro il linguaggio tecnico e la promessa di sostenibilità, nasconde anche un pesante impatto sul fragile equilibrio idrico dei Colli Albani e sul lago di Castel Gandolfo, già in sofferenza cronica.

Ricordiamo che nella gerarchia delle fonti normative se ricicli l’acqua la priorità spetta all’uso agricolo. L’agricoltura della zona è in grandissima sofferenza, ma il progetto di riuso di cui si parla ora è di scippare l’acqua che potrebbe andare all’agricoltura per portarla invece all’inceneritore di Roma.
Ma non basta. Ora si fa avanti anche l’idea che questa operazione debba essere finanziata con i soldi pubblici e a pagare siano quindi i cittadini.
Inceneritore di Roma: i cittadini pagano i costi, i privati incassano i ricavi
In pratica i costi dell’opera idrica dovrebbero essere pubblici e i ricavi del futuro inceneritore (un giro d’affari di 7,4 miliardi di euro) andrebbero anche ai privati, che possiedono una enorme pezzo di Acea. I costi ai cittadini e i guadagni ai ‘soliti personaggi’.
Il progetto del ‘riuso’ dell’acqua del depuratore con relativa maxi condotta da 5,2 km di lunghezza era già stato da noi reso pubblico da tempo.
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Ma ora c’è una novità sostanziale. Massimiliano Ricci, presidente di Unindustria, ha difatti chiesto – in soldoni – al Governo Meloni che questo sistema di ‘riciclo’ sia inserito nel decreto ‘Riciclo’ acqua in corso di elaborazione e pagato a spese dell’erario pubblico, vale a dire dei cittadini.
L’incontro “sostenibile” alla Peroni
La richiesta ha avuto luogo pubblicamente, il 30 settembre, nello stabilimento Peroni di Roma, nel corso di un incontro dal titolo: “Roma, insieme facciamo la differenza, per lo sviluppo sostenibile” (vedi il video su YouTube al minuto 56 circa e minuto 1,20 circa).
Tra i presenti figuravano il segretario generale dell’Autorità di Bacino dell’Appennino Centrale, Marco Casini, e il direttore di Unindustria Lazio, Massimiliano Ricci, oltre a Vannia Gava, viceministro all’Ambiente del Governo Meloni che sta lavorando al decreto ‘Riuso’ dell’acqua.
Ricci, ingegnere ambientale di lungo corso, ha parlato apertamente della necessità di “liberare le risorse idriche di falda per gli usi primari”, proponendo di riutilizzare le acque in uscita dal depuratore di Albano, in località Santa Maria in Fornarola, per alimentare l’impianto industriale Acea di Santa Palomba.
Sottolineando anche che Santa Palomba è la più grande area industriale del Lazio, che rappresenta il 10% del PIL regionale, con 30mila lavoratori, ma è senza acquedotto e fogne.
Il depuratore di Pavona e la condotta da 5,2 chilometri
Dietro la formula “riuso delle acque reflue” si nasconde un’operazione ben più invasiva.
Il piano prevede infatti la costruzione di una condotta idrica lunga 5,2 chilometri, capace di trasportare 10 litri al secondo di acqua depurata dal sito di Pavona fino al terreno scelto da Acea per l’inceneritore da 600.000 tonnellate annue di rifiuti.

Un fiume sotterraneo artificiale, pari a circa 20mila l’ora, che scorrerà ininterrottamente, 24 ore su 24, 365 giorni l’anno, per decenni.
Il tutto in un’area, quella dei Castelli Romani, già da anni sotto osservazione per la grave crisi idrica che sta prosciugando la falda unica dei Colli Albani, estesa da Rocca di Papa fino ad Ardea e Pomezia.
La richiesta al governo Meloni: pagare la condotta
Durante l’incontro alla Peroni, Ricci ha spiegato che “serve una normativa certa e chiara” e che “il riuso dell’acqua va sostenuto con investimenti pubblici”.
Tradotto: Unindustria Lazio, Acea, la Regione Lazio e la Città Metropolitana di Roma chiedono ufficialmente al Governo Meloni di finanziare la condotta e l’impianto di depurazione necessari a portare l’acqua di Albano fino all’inceneritore.
Il messaggio lanciato ai vertici del governo è apparso limpido: Acea vuole la condotta, ma non intende pagarla.
I pozzi di Acea: la falda come groviera
Ma non basta. Il progetto Acea prevede anche la perforazione di quattro pozzi: due di monitoraggio e due operativi. Sempre per raffreddare l’inceneritore.

Pozzi che succhieranno dalla falda idrica dei Castelli Romani circa 10.000 litri d’acqua l’ora per raffreddare l’impianto.
Un dato che da solo basta a comprendere la portata ambientale dell’operazione.
La carta idrogeologica della Regione Lazio, approvata appena nel 2023, certifica che l’intera area poggia su un unico bacino idrico interconnesso. In pratica, ogni prelievo a Santa Palomba si ripercuote su tutto il sistema idrico, fino al lago Albano.
La coincidenza fra la crisi idrica che devasta i Castelli Romani e il pressing di Unindustria per l’inceneritore raffreddato con l’acqua di Albano lascia aperti interrogativi politici e ambientali tutt’altro che marginali.
Il lago che scompare, giorno dopo giorno
Nel frattempo il lago Albano di Castel Gandolfo continua a ritirarsi, centimetro dopo centimetro, come un termometro impietoso della crisi idrica che strangola i Castelli Romani. Dei due progetti salva-lago Albano non si sa più niente: l’Aubac non proferisce più parola da tempo, sul punto.
Le ultime rilevazioni dell’associazione Grottaferrata Sostenibile, guidata da Giancarlo Della Monica, del 5 ottobre parlano chiaro: meno sei centimetri in soli tredici giorni, un calo che porta il livello complessivo a –118 centimetri rispetto alla quota naturale registrata appena due anni e mezzo fa. Dati confermati anche dal teleidrometro dell’Autorità di Bacino (AUBAC), che da settembre 2023 monitora la situazione.
Un declino rapido e apparentemente irreversibile, aggravato non solo dal cambiamento climatico ma dai prelievi costanti di Acea, che attinge dal lago e dalla falda circostante senza limiti dichiarati né sistemi di compensazione, per rifornire undici comuni dei Castelli Romani.
Un sistema che funziona ininterrottamente, ventiquattro ore su ventiquattro, trecentosessantacinque giorni l’anno, prosciugando un patrimonio naturale che impiega secoli a rigenerarsi.
L’allarme, ormai, è arrivato anche in Parlamento: il senatore Marco Silvestroni ha chiesto un intervento urgente dei ministeri competenti.
Ma mentre la politica avvia i primi confronti, i numeri scorrono inesorabili e il lago continua a scendere. Ogni due giorni di silenzio vale un nuovo centimetro d’acqua perduta — e un passo in più verso il punto di non ritorno per la falda dei Castelli Romani.
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