Il Comune di Velletri ha però messo un freno a quella che i giudici del TAR del Lazio hanno definito una “trasformazione urbanisticamente rilevante”, priva di qualsiasi permesso edilizio.
La protagonista della vicenda è una donna, proprietaria dell’immobile di Velletri trasformato da rimessa agricola a casa di campagna. A denunciare l’abuso edilizio è stato il Comune di Velletri, dopo un sopralluogo della Polizia Locale che ha fatto emergere un quadro chiaro: il magazzino non era più un magazzino, ma una villetta di campagna.
La trasformazione da magazzino a residenza nella campagna di Velletri
Il controllo della Polizia Locale di Velletri, spiega la sentenza del Tar del Lazio, è stato decisivo.
All’interno della struttura, i tecnici comunali hanno trovato un ambiente che nulla aveva a che fare con l’uso agricolo: cucina componibile, letto, condizionatore, finestre panoramiche e una nuova copertura in legno con travi lamellari.
Il tetto, dichiarato nella CILA (Comunicazione Inizio Lavori Asseverata) come pannellato “tipo sandwich”, era stato completamente rifatto con materiali e modalità diverse, senza il nulla osta del Genio Civile.
Il tutto accompagnato da modifiche strutturali — spostamento di porte e aperture di finestre — e, soprattutto, da un cambio di destinazione d’uso da magazzino a residenziale, avvenuto in assenza del necessario permesso di costruire.
L’ordinanza di demolizione e la corsa alla sanatoria
Il Comune di Velletri, con l’ordinanza n. 241 del 16 giugno 2022, ha ordinato alla proprietaria di “ripristinare lo stato dei luoghi”, intimando la demolizione delle opere abusive. In caso contrario, l’immobile sarebbe stato acquisito gratuitamente al patrimonio comunale.
La signora proprietaria dell’immobile ha però impugnato il provvedimento davanti al TAR del Lazio, sostenendo che i lavori rientrassero nella semplice “manutenzione straordinaria” e non configurassero una vera trasformazione edilizia. Un tentativo disperato di derubricare la violazione in una mera irregolarità.
Ma mentre il giudizio era già pendente, la proprietaria ha tentato la carta della SCIA in sanatoria, presentata il 4 settembre 2025, a distanza di tre anni dai fatti.
Mossa tardiva e inefficace: il Tribunale non ha accolto la richiesta di rinvio e ha trattenuto la causa in decisione.
Il TAR: “Non manutenzione, ma nuova costruzione”
Il Tribunale Amministrativo non ha avuto dubbi: gli interventi “non possono essere ricondotti alla manutenzione straordinaria”, come pretendeva la ricorrente.
La legge è chiara — ricorda la sentenza — e distingue in modo netto gli interventi di manutenzione (che non alterano la volumetria né la destinazione d’uso) da quelli di ristrutturazione o nuova costruzione, che richiedono il permesso di costruire.
Il punto chiave, secondo il Tar, è il mutamento di destinazione d’uso: trasformare un locale agricolo o produttivo in abitazione comporta un “aumento del carico urbanistico”, con impatto diretto sui servizi e sugli standard del territorio.
In altre parole, significa alterare l’equilibrio urbanistico di un’area rurale, introducendo un nuovo volume residenziale là dove non era previsto.
Un caso emblematico per la giurisprudenza urbanistica
Il Tribunale cita anche precedenti del Consiglio di Stato e di altri TAR: basta il semplice utilizzo dell’immobile come abitazione — con mobili, letti e cucine — per dimostrare il cambio di destinazione.
Non serve costruire muri nuovi o ampliare la struttura.
Nel caso della rimessa agricola di Velletri, le fotografie scattate dal Comune parlano da sole: il locale è diventato una residenza di campagna, pronta per essere abitato.
Nessuna prova, poi, è stata fornita dalla ricorrente circa la “necessità” dei lavori per garantire l’agibilità o la sicurezza dell’edificio. La relazione tecnica allegata, risalente al 2016, è risultata priva di firma e dunque senza alcun valore probatorio.
Il verdetto finale: ricorso respinto, spese compensate
Alla fine, la sentenza del Tar del Lazio chiude la partita: ricorso respinto, ordinanza di demolizione confermata, spese compensate. Nessun cavillo, nessuna scappatoia.
Per il Collegio giudicante, la linea è netta: chi trasforma un magazzino in casa senza titolo abilitativo commette un abuso edilizio pieno, con tutte le conseguenze del caso.
Il Comune di Velletri, dunque, esce vincitore da una vicenda che conferma l’orientamento più rigoroso della giurisprudenza in materia urbanistica: nessuna tolleranza per chi tenta di “camuffare” una residenza dentro un deposito, soprattutto in zone agricole dove ogni metro cubo è vincolato e controllato.
Una lezione per molti
Il caso non è isolato. Nel territorio dei Castelli Romani — e in particolare tra Velletri, Lanuvio e Genzano — si moltiplicano le trasformazioni “creative” di capannoni, magazzini e rimesse di campagna in abitazioni di fatto, spesso giustificate con CILA o SCIA di comodo. Ma i Comuni e i Tribunali sembrano aver cambiato passo, adottando una linea sempre più severa.
Il messaggio, in fondo, è semplice: il territorio non si “trasforma” con una cucina e un divano. Servono permessi, regole e rispetto per un paesaggio che troppo spesso viene aggredito con piccoli, silenziosi abusi.
A Velletri, questa volta, la legge ha fatto il suo corso.
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