Il TAR ha respinto il ricorso presentato dai due proprietari contro il ‘No’ dell’Ente Parco, che aveva negato il nulla osta alla costruzione di un immobile, una villa bifamiliare, nel consorzio Poggi D’Oro, a Velletri.
Una vicenda che riporta in primo piano il tema — mai sopito — del cemento nei parchi naturali e dei tentativi, sempre più frequenti, di trasformare aree vincolate in quartieri residenziali mascherati da lottizzazioni “storiche”.
Il progetto bloccato dal Parco dei castelli Romani, tra querce e vincoli
Il progetto, secondo quanto emerso in giudizio, prevedeva la realizzazione di una villa bifamiliare su un terreno già oggetto di un vecchio piano di lottizzazione approvato nel 2000.
I ricorrenti sostenevano che il piano “Consorzio Poggi d’Oro” fosse pienamente legittimo, avendo ottenuto nel tempo tutti i pareri favorevoli: Comune, Regione e, all’epoca, anche il Parco stesso.
Ma il contesto, nel frattempo, è cambiato.
La normativa del Parco e il Piano Territoriale Paesaggistico Regionale (PTPR) hanno ridefinito l’area come “paesaggio naturale di continuità”, dove la costruzione di nuovi edifici è vietata. Il nulla osta, dunque, ora non poteva che essere negato.
Il ricorso e le accuse al Parco dei castelli
I proprietari hanno impugnato il provvedimento davanti al TAR del Lazio, sostenendo che l’Ente Parco avesse agito in modo arbitrario e superficiale.
Tra le accuse: difetto di motivazione, violazione delle norme procedurali e travisamento delle competenze tra Parco e Soprintendenza.
In sostanza, secondo i ricorrenti, il Parco avrebbe confuso il proprio ruolo tecnico con quello paesaggistico, impedendo un intervento edilizio che sarebbe stato, a loro dire, perfettamente compatibile con gli strumenti urbanistici vigenti.
Ma la tesi non ha convinto i giudici.
La difesa del Parco: “Vincolo assoluto, nessuna discrezionalità”
Il Parco dei Castelli Romani, difeso dall’Avvocatura dello Stato, ha ribadito in aula un principio netto: in quella zona — classificata come di “rilevante interesse naturalistico e paesaggistico” — non si costruisce.
Né ville, né bifamiliari, né pergolati camuffati.
Le modifiche alla legge regionale del 1997, introdotte nel 2020, hanno infatti esteso anche a quelle aree le misure di salvaguardia previste per le cosiddette “Zone A”, cioè le aree più pregiate e meno antropizzate del territorio protetto.
Il Tribunale amministrativo ha accolto questa impostazione: il diniego, spiegano i giudici, non era frutto di discrezionalità, ma di una norma “vincolata”, cioè obbligatoria.
In altre parole: anche volendo, il Parco non avrebbe potuto autorizzare l’edificazione.
Un piano di lottizzazione “datato”
Al centro del contenzioso c’è un piano di lottizzazione che affonda le radici nei primi anni Duemila.
Approvato in via preliminare dal Comune di Velletri nel 2000 e oggetto di convenzione nel 2009, il piano “Poggi d’Oro” è diventato, negli anni, il cavallo di Troia di numerosi tentativi di edificazione ai margini del Parco.
Ma la giurisprudenza ha ormai tracciato un solco: quel piano, dicono i giudici, non era mai stato approvato in via definitiva prima dell’adozione del PTPR regionale, avvenuta nel 2007. Di conseguenza, non può godere delle “clausole di salvaguardia” previste per i piani approvati prima di quella data.
Una precisazione che chiude la porta a molte altre pretese edificatorie analoghe, ancora sospese tra carte e ricorsi.
La sentenza: natura batte cemento
La sentenza, firmata dalla giudice Virginia Giorgini, è chiara: la costruzione della villa bifamiliare non è consentita, e il diniego del Parco è pienamente legittimo.
Non solo: il TAR ha sottolineato che l’errore materiale contenuto nel primo provvedimento (dove si parlava di un “pergolato” invece che di una “bifamiliare”) non incideva sulla sostanza dell’atto.
Un semplice refuso, non una svista procedurale.
Di fronte alla “natura vincolata” del provvedimento, osservano i giudici, qualsiasi irregolarità formale è irrilevante.
In altre parole: anche se la burocrazia non è perfetta, la sostanza non cambia.
In quell’area non è possibile edificare.
Una vittoria simbolica del Parco
Il verdetto non è solo tecnico, ma anche politico.
Negli ultimi anni il Parco dei Castelli Romani si è trovato a fronteggiare una crescente pressione edilizia, specie nei territori di confine tra Velletri, Genzano e Rocca di Papa.
Consorzi, lottizzazioni private, vecchie convenzioni: tutte formule che cercano di forzare i limiti imposti dalla tutela ambientale.
Questa sentenza rafforza la linea dura dell’Ente Parco, che si è posto come ultimo baluardo contro la frammentazione e la speculazione nelle aree verdi.
Il Tribunale, di fatto, riconosce il valore prevalente della tutela del paesaggio rispetto a qualsiasi interesse privato.
Le spese compensate e la partita aperta
Pur respingendo il ricorso, il TAR ha disposto la compensazione delle spese di lite, riconoscendo la “peculiarità” del caso.
Un dettaglio che non attenua, però, la portata del messaggio: la legge tutela il Parco dei Castelli Romani e la sua integrità paesaggistica, non le aspirazioni immobiliari di chi punta a nuove residenze tra boschi di querce e castagni.
Resta da capire se i ricorrenti decideranno di appellarsi ora al Consiglio di Stato, che è l’ultimo grado della giustizia amministrativa.
Il “No” del Parco dei Castelli Romani non è solo una decisione amministrativa: è una presa di posizione contro una deriva edilizia che, negli anni, ha rischiato (e rischia) di divorare il patrimonio naturale dei Castelli.
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