Dopo anni di ricorsi, attese e carte bollate, il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio, ha stabilito ciò che appariva evidente: il Ministero dell’Istruzione non aveva osservato le regole delle graduatorie, assegnando supplenze annuali a docenti con punteggi inferiori al suo.
Una condotta illegittima che, secondo i giudici, ha privato l’insegnante di un incarico a tempo determinato e del relativo stipendio per l’intero anno scolastico. Ora il Ministero dovrà risarcire quasi 20mila euro alla docente e riconoscerle anche i 12 punti di servizio mai attribuiti, fondamentali per le future graduatorie.
Castelli Romani, più Tribunali danno ragione alla professoressa
Per i giudici, l’Amministrazione ha agito in violazione di un giudicato già consolidato.
Il primo pronunciamento, risalente al 2023 e deciso dal Tribunale di Velletri, aveva infatti riconosciuto alla docente “il diritto a ricevere un incarico annuale presso una delle sedi da lei indicate, nel rispetto dell’ordine di preferenze e punteggio”.
Eppure, nonostante quella decisione fosse definitiva e vincolante, il Ministero dell’Istruzione non aveva mai provveduto a dare esecuzione alla sentenza. Da qui il nuovo ricorso al TAR del Lazio per chiedere – e ottenere – l’attuazione concreta di quanto già stabilito.
La condanna: il Tar impone l’esecuzione forzata
Il Tribunale amministrativo ha infatti accolto in pieno la richiesta della ricorrente, ordinando al Ministero dell’Istruzione di dare esecuzione integrale al precedente verdetto entro sessanta giorni. In caso di ulteriore inottemperanza, è stato già designato un Commissario, individuato nel Direttore generale del Ministero competente, che dovrà agire al posto dell’Amministrazione per rendere effettivo il diritto della docente.
Una misura non frequente, ma che diventa necessaria quando un ente pubblico ignora le decisioni giudiziarie. In pratica, se il Ministero non si muoverà, sarà un proprio dirigente – per ordine del TAR – a dover firmare gli atti al posto suo.
Risarcimento e spese a carico dello Stato
Oltre al riconoscimento del diritto al punteggio e all’incarico mancato, il Tribunale ha condannato il Ministero al pagamento di 19.999,27 euro per retribuzioni non percepite, oltre a 500 euro di spese legali da versare all’avvocato D. N., difensore della docente.
Una cifra simbolica rispetto al danno morale e professionale subito, ma che segna un punto fermo nella battaglia di molti precari della scuola contro errori e disattenzioni ministeriali.
Non è stata invece accolta la richiesta di una “penalità di mora” — una sanzione economica aggiuntiva per eventuali ulteriori ritardi — in considerazione della “peculiarità della materia” e dei vincoli di bilancio che gravano sull’Amministrazione.
Una vittoria che parla a migliaia di precari
La decisione del TAR non riguarda solo G. M.. Il caso, nato proprio ai Castelli Romani, potrebbe aprire la strada a numerosi altri ricorsi di insegnanti esclusi illegittimamente da incarichi di supplenza.
Molti docenti, infatti, lamentano da anni errori sistematici nelle graduatorie provinciali, con punteggi calcolati in modo errato o preferenze ignorate.
Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: le regole di graduatoria non sono un’opinione e il Ministero non può sottrarsi al dovere di rispettarle, neppure di fronte a vincoli organizzativi o finanziari.
Ogni violazione, ricordano i giudici, “lede diritti soggettivi pienamente tutelabili davanti alla giustizia amministrativa”.
Il segnale del TAR al Ministero
Con parole ferme ma equilibrate, il TAR del Lazio ha inviato un messaggio inequivocabile all’Amministrazione dell’Istruzione: la legge vale anche per chi la applica.
Il Ministero dovrà ora muoversi rapidamente per evitare l’intervento del Commissario ad acta e l’ennesimo scandalo burocratico.
Per G.. M., insegnante di Frascati, questa sentenza rappresenta la fine di un’odissea giudiziaria e l’inizio di una rivincita morale: quella di una docente che, con coraggio e determinazione, ha costretto la macchina ministeriale a riconoscere i suoi errori.
Un caso esemplare che restituisce fiducia nella giustizia e lancia un monito chiaro: anche i colossi istituzionali devono rispondere delle proprie azioni — soprattutto quando a pagarne il prezzo sono i lavoratori della scuola, cuore pulsante del sistema educativo italiano.
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