Tra queste, anche Zoomarine, il grande parco acquatico di Pomezia, simbolo dell’intrattenimento familiare e polo turistico di rilevanza nazionale.
Colpito come tutti dalla crisi sanitaria, costretto a chiudere per mesi e a sostenere costi insostenibili senza incassi, il parco aveva chiesto all’INPS il sostegno del Fondo di Integrazione Salariale. Una richiesta legittima, mirata a garantire il futuro dei lavoratori e la sopravvivenza dell’azienda.
Ma la risposta dello Stato è arrivata fredda e inaspettata: “No”.
L’INPS respinge la richiesta: la burocrazia che schiaccia
Un “No” ripetuto, fino al 16 giugno 2025, quando il Comitato Amministratore del Fondo, con deliberazione n. 28, ha respinto il ricorso presentato da Zoomarine contro il precedente diniego.
Un colpo durissimo per una delle realtà economiche più significative del territorio di Pomezia, che aveva investito nella ripartenza con fiducia.
L’INPS, in sostanza, non ha accolto la domanda di aiuto economico, confermando una decisione che appare paradossale se si pensa al contesto emergenziale in cui tutto era fermo.
In quegli stessi mesi, il Paese intero – dalle piccole botteghe ai grandi marchi – chiedeva supporto, cercando di sopravvivere al collasso. Eppure, anche di fronte a una pandemia mondiale, la macchina amministrativa ha scelto la via del rigore formale, respingendo la richiesta di un’azienda che dà lavoro a centinaia di persone.
Il TAR del Lazio interviene: il ricorso è valido, ma va notificato di nuovo
Il caso è approdato davanti al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio, sezione quinta, dove il giudice ha esaminato il ricorso.
La società ha impugnato la decisione dell’INPS, chiedendo che fosse riconosciuto il diritto all’accesso agli aiuti.
Tuttavia, l’iter ha subito una battuta d’arresto per motivi puramente procedurali: la notifica del ricorso all’INPS era stata inviata a un indirizzo PEC non censito nei pubblici registri.
Non una mancanza di sostanza, dunque, ma un vizio di forma, di quelli che troppo spesso bloccano la giustizia amministrativa italiana.
Il TAR, nella sua ordinanza, ha riconosciuto la nullità della notifica, ma non ha chiuso la porta: ha disposto la rinnovazione della notifica e fissato una nuova udienza per il 17 dicembre 2025. Una decisione che riapre la partita, restituendo speranza a un’impresa che chiede soltanto ciò che la legge prevede: equità e sostegno in un periodo eccezionale.
La pandemia e il paradosso dell’aiuto negato
Ciò che emerge da questa vicenda è il paradosso di un Paese che, di fronte a un disastro epocale come il Covid-19, ha promesso sostegno a tutti, ma che in troppi casi ha finito per negarlo.
Mentre lo Stato stanziava fondi miliardari per la sopravvivenza del tessuto produttivo, la burocrazia – quella stessa burocrazia che avrebbe dovuto agevolare e velocizzare le procedure – si è trasformata in un muro invalicabile.
Zoomarine, come tante altre imprese italiane, ha rappresentato un simbolo della resilienza: un luogo di svago e di lavoro che ha cercato di risorgere dopo mesi di chiusura forzata. Ma la risposta dello Stato, in questo caso, è stata un diniego inspiegabile, fondato non su un difetto di merito ma su un cavillo tecnico.
Un caso che tocca tutti
La decisione del TAR di rinnovare la notifica è un piccolo passo verso la giustizia. Ma resta il nodo centrale: com’è possibile che un’impresa che ha rispettato le regole, che ha chiesto un aiuto in un momento di emergenza nazionale, debba ancora combattere nei tribunali per vedersi riconosciuto un diritto elementare?
Questa vicenda non riguarda solo Zoomarine, ma tutti gli italiani che, nei mesi più bui della pandemia, si sono rivolti alle istituzioni per non affondare.
Riguarda i lavoratori che hanno perso il posto, gli imprenditori che hanno resistito, le famiglie che hanno creduto nello Stato.
E interroga la coscienza pubblica: cosa significa davvero “aiuto di Stato”, se non la capacità di rispondere con tempestività e umanità a chi chiede soccorso?
In attesa della verità
Il 17 dicembre, davanti al TAR del Lazio, si scriverà un nuovo capitolo di questa storia. Una storia che non parla soltanto di carte bollate e indirizzi PEC, ma del rapporto tra cittadini e istituzioni, tra speranza e indifferenza.
Perché se c’è una lezione che la pandemia avrebbe dovuto insegnarci, è che nessuno si salva da solo. Eppure, ancora oggi, in troppi casi come questo, lo Stato sembra voltare lo sguardo altrove.
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