Con un atto tecnico destinato a incidere profondamente sul futuro dell’inceneritore di Roma a Santa Palomba – ma proprio al confine con Albano, Ardea e Pomezia – la Regione Lazio ha annullato il 14 ottobre il proprio parere positivo sul consumo idrico del mostro brucia rifiuti del 18 settembre.
La determinazione n. G11953 dello scorso 18 settembre (ossia il parere della Regione Lazio sui consumi idrici dell’inceneritore) firmata dalla Direzione “Ciclo delle acque – concessioni idriche”, concedeva una sorta di semaforo verde per Acea autorizzata alla realizzazione di quattro pozzi di profondità e una condotta di 5,2 km dal depuratore di Albano-Pavona-Santa Maria in Fornarola con lo scopo di raffreddare l’impianto brucia immondizia indifferenziata.
Con la nuova determinazione n. G13304 del 14 ottobre 2025, lo stesso ufficio ha fatto marcia indietro, revocando il precedente parere Favorevole sulla compatibilità idrica dell’inceneritore in quella zona.
Un dietrofront motivato – cosi ci spiega una fonte istituzionale di assoluto rilievo dell’assessorato regionale – “Dalla non compatibilità del progetto con l’attuale stato idrogeologico e idrico dell’area interessata”.
In altre parole, i consumi idrici richiesti per l’impianto sarebbero stati giudicati insostenibili per una falda acquifera, quella dei Castelli Romani, già in gravissima sofferenza, documenti alla mano.
Tra l’altro, i termini per l’emissione di un nuovo parere della Regione sulla compatibilità idrica dell’inceneritore, dopo l’annullamento del 14 ottobre del precedente parere Favorevole del 18 settembre, non dovrebbe aver luogo, visto che il 16 ottobre sono nel frattempo scaduti i termini della procedura Paur avviata dal Comune di Roma il 16 settembre. Quindi, molto probabilmente, ci spiega la stessa fonte istituzionale di rilievo dell’assessorato regionale, un nuovo e ulteriore parere idrico, da parte della Regione, non verrà emesso.
Una decisione di enorme portata, perché di fatto bloccherebbe la costruzione dell’inceneritore. In sostanza, il comune di Roma al momento è privo di un ‘Si’ idrico della Regione Lazio.
E cosa può succedere ora? Le ipotesi sono diverse.
Acea presenta modifiche all’impianto oppure propone nuove fonti di approvigionamento idrico che non coinvolgano i Castelli Romani. Oppure si decide di spostare l’impianto in altra zona. Oppure si rinuncia al progetto.
C’è anche la possibilità che nonostante questo parere negativo si decida di andare avanti, ma sarebbe molto rischioso. Chi si assumesse la responsabilità di tale scelta potrebbe pagare conseguenze politiche molto pesanti, se non addirittura giudiziarie.
La spinta decisiva di Moresco e Persichilli da Albano
Determinante, per questo cambio di rotta della Regione Lazio, è stato un incontro riservato, tenutosi il 9 ottobre presso l’Assessorato regionale all’Ambiente e ai Rifiuti, guidato dall’assessore Fabrizio Ghera.
A sollecitarlo è stato Marco Moresco, consigliere di opposizione del Comune di Albano Laziale, accompagnato dal geometra Giacinto Persichilli, tecnico di fiducia.

Durante la riunione, i due hanno presentato all’assessorato ai Rifiuti un dossier dettagliato che documenta la situazione “drammatica e strutturale” della falda idrica dei Castelli Romani – così ci raccontano i due – da anni in stato di crisi.
“Non si può chiedere ancora acqua a un territorio che da quindici anni è in emergenza idrica, altra acqua per l’inceneritore Acea di Roma e Gualtieri”, avrebbe dichiarato Moresco, mostrando ordinanze e relazioni tecniche che testimoniano la cronica carenza d’acqua potabile nei comuni serviti proprio da Acea.
Tra questi figurano Albano Laziale, Ardea e Pomezia, tutti sottoposti da tempo a restrizioni idriche imposte da Acea e a cascata dai Comuni per contenere i consumi e garantire un minimo approvvigionamento quotidiano alla popolazione.
La falda in crisi e la rete sotto stress
Il quadro delineato dai documenti esibiti da Moresco all’assessorato è allarmante. Il Lago Albano è al collasso, un bacino da cui Acea estrae acqua per undici comuni dei Castelli.
Le pompe lavorano senza sosta, 24 ore su 24 e 365 giorni l’anno, per sostenere un sistema idrico che non riesce più a rigenerarsi naturalmente.
A peggiorare la situazione, secondo Moresco,un recente decreto della stessa Regione Lazio di fine agosto che ha autorizzato Acea a un prelievo straordinario dalle sorgenti del Pertuso, nel tentativo di sopperire alla mancanza cronica di risorse idriche locali.
Un provvedimento che, secondo i Moresco e Persichilli, conferma implicitamente la condizione di emergenza permanente dell’intero bacino idrico dei Castelli Romani. Tre Comuni dei Castelli Romani andranno presto in turnazione idrica.
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In questo contesto, l’ipotesi di alimentare un impianto energivoro come il termovalorizzatore Acea di Roma con quattro nuovi pozzi appare non solo impraticabile, ma potenzialmente irreversibile per l’equilibrio ambientale di un’area già compromessa.
Il paradosso dell’acqua e dei rifiuti
La vicenda mette in luce – secondo Moresco – un paradosso emblematico della gestione ambientale romana: mentre da un lato si spinge per la costruzione dell’inceneritore come soluzione al problema dei rifiuti della Capitale, dall’altro si ignora il rischio concreto di prosciugare ulteriormente una delle riserve idriche più delicate del Lazio.
L’impianto, concepito come pilastro del nuovo ciclo dei rifiuti di Roma, richiederebbe infatti volumi d’acqua enormi per il raffreddamento e il trattamento dei fumi, oltre a un collegamento idrico diretto con il depuratore di Albano. Una condotta che, secondo gli uffici regionali, aggraverebbe la già precaria situazione della rete idrica locale.
“Non si può sacrificare l’acqua dei cittadini per alimentare un inceneritore”, ha commentato Moresco, ricordando che la tutela della risorsa idrica è una priorità assoluta in un’area che, da anni, subisce limitazioni e turnazioni sempre più frequenti.

Una decisione di interesse pubblico
Resta ora da capire quali saranno le conseguenze sul cronoprogramma dell’inceneritore di Roma, che rischia di subire un nuovo rallentamento. Ma per i comuni dei Castelli Romani, la decisione segna una vittoria simbolica e concreta: quella di aver difeso, almeno per ora, la risorsa più preziosa e fragile del territorio, l’acqua.
Una risorsa che, come ricordano gli esperti, “non si può ricreare per decreto”.























